Non fosse che mancano i pareri consultivi, la commissione affari costituzionali della camera avrebbe già inviato all’aula la prima riforma della Carta firmata Movimento 5 Stelle. Quella che introduce il referendum propositivo. Formalità, l’esame dell’assemblea di Montecitorio comincerà comunque il prossimo 16 gennaio ed entrerà nel vivo la settimana successiva. Alle novità rispetto al testo base formalizzate ieri ma già note – il quorum del 25% dei favorevoli, il controllo preventivo di ammissibilità della Consulta, il fatto che la legge di attuazione dovrà essere approvata dalle camere con la maggioranza assoluta – se ne aggiungeranno certamente altre. Lo ha fatto capire la relatrice, la 5 Stelle Dadone, che alle molte obiezioni delle opposizioni ha risposto promettendo nuove correzioni.

Una l’ha già infilata in chiusura di seduta di commissione, quando le critiche si sono concentrate sul complicato sistema di votazione previsto nel caso in cui il parlamento modifichi la proposta di legge popolare, ma il comitato promotore intenda comunque procedere al referendum. È l’ormai famoso ballottaggio tra due leggi diverse, anche solo per piccoli dettagli, da molti temuto come potenziale elemento di delegittimazione del parlamento. Il testo base prevede che sia possibile votare sia per la legge prodotta dalle camere che per quella presentata originariamente dai cittadini. E nel caso indicare quale delle due si preferisce, dovessero essere approvate entrambe. Il meccanismo era però previsto in assenza di quorum, che adesso c’è: se le due leggi lo superassero entrambe dovrebbero in teoria essere approvate entrambe. E poi c’è il problema materiale di come far esprimere il voto di preferenza tra le due leggi solo a chi abbia scelto di approvarle entrambe (e se si giusta questa limitazione). La soluzione proposta dalla relatrice è che le leggi siano considerate entrambe approvate ma solo quella con più preferenze sia da promulgare. È probabile che bisognerà tornarci su, dal momento che la promulgazione è istituto diverso, affidato al presidente della Repubblica. Diversamente si starebbe inventando il referendum «promulgativo».

Anche la soluzione adottata per il controllo preventivo della Corte costituzionale (dopo la raccolta di almeno 200mila firme), controllo di «ammissibilità» della proposta di legge di iniziativa popolare, sarà verosimilmente corretta. Intanto perché a questo punto si dovrebbe anticipare il giudizio anche per il referendum abrogativo, evitando la raccolta inutile di tutte le 500mila firme. Ma soprattutto secondo l’opposizione e diversi (non tutti) costituzionalisti, il controllo preventivo della Consulta dovrebbe essere pieno, di legittimità. «Compatibilità con le norme costituzionali», secondo l’emendamento (bocciato) del radicale di +Europa Magi. Dadone ha concesso che sarebbe un problema far votare i cittadini su un testo incostituzionale. Del resto la Consulta sarebbe in imbarazzo a bocciare successivamente un testo approvato dal popolo. Imbarazzo probabilmente superiore a quello che pure potrebbe provocare il dover tornare in sede di giudizio incidentale sulla decisione espressa nel vaglio preventivo (d’altronde per le leggi di iniziativa popolare non ci sarebbe il controllo del Quirinale sulle incostituzionalità evidenti). Possibili novità anche su un tetto ai referendum propositivi per anno e per legislatura.

Ma la maggioranza è ferma nel non voler limitare il campo delle materie sottoponibili a referendum, come chiedono le opposizioni. Magi insiste perché i limiti siano «gli stessi del referendum abrogativo». «Leggi di spesa e la materia penale sono a forte rischio populista», dice il Pd Ceccanti. E poi c’è la preoccupazione per la sfida tra comitato promotore e parlamento. «È il cuore del problema – dice il Pd Giorgis – il referendum dovrebbe tenersi solo se le camere restano inerti, se invece modificano la proposta popolare nessuno dovrebbe sostituirsi alle valutazioni politiche dei rappresentanti. Prevedendo invece un canale legislativo alternativo e autonomo si delegittima il parlamento».