Obbediente e silenziosa, granitica nel garantire tutti i voti necessari per portare avanti una riforma costituzionale che – fa sapere – non condivide del tutto e non esclude di fermare successivamente – quando probabilmente sarà troppo tardi – la Lega ha ottenuto solo di far slittare a oggi il voto finale alla riduzione dei parlamentari. I 5 Stelle hanno già cominciato a festeggiare, mentre i leghisti ieri sera dovevano riunirsi per ragionare sulla giornata nera cominciata con la revoca del sottosegretario Siri.

La riforma costituzionale che riduce di oltre un terzo il numero dei deputati e dei senatori conclude il primo giro oggi pomeriggio. Approvata al senato (a febbraio) e adesso alla camera nell’identico testo, dovrà essere confermata a maggioranza assoluta ma senza possibilità di modifiche. Il voto dopo la «pausa di riflessione» di tre mesi (come prevede la procedura di revisione costituzionale) è già possibile al senato e potrà essere messo in calendario dalla camera a settembre. Se Forza Italia e Fratelli d’Italia restassero sulla posizione di oggi – le legge è sbagliata ma la votiamo per non lasciarne il merito alla maggioranza – si potrebbe persino evitare il referendum confermativo. Che in ogni caso somiglierebbe a un plebiscito «anti casta» dall’esito prevedibile.

I problemi della legge, venuti fuori nelle audizioni e nel dibattito in commissione, rimangono però tutti, visto che i 5 Stelle non hanno voluto affrontarli per non perdere l’occasione di chiudere la prima deliberazione in tempo per le ultime settimane di campagna elettorale.

La riforma riduce i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200 (più gli ex presidenti della Repubblica e cinque senatori a vita, che non vengono ridotti). La percentuale del taglio è del 36,5%; la scelta di quota 600 parlamentari (400 più 200) non è spiegata, si può solo immaginare la suggestione della cifra tonda. È una riduzione molto forte. Guardando alla camera (in alcuni paesi il senato non è elettivo o lo è solo parzialmente o indirettamente) l’Italia passerebbe in un colpo solo da paese con il più alto grado di rappresentanza nella Ue – un deputato ogni 96mila abitanti – al livello più basso: un deputato ogni 151mila abitanti. Eloquente anche il confronto con il passato. Nelle prime elezioni della Repubblica (1948) il rapporto tra abitanti e deputati era quasi la metà: 80mila abitanti per ogni deputato (la proporzione fu mantenuta nel ’63 quando fu introdotto il numero fisso di parlamentari).

Il colpo alla rappresentanza che questa riforma costituzionale comporta è più esteso. Innanzitutto riducendo il numero dei parlamentari si introduce una soglia di sbarramento implicita per le piccole forze politiche, alta più del doppio di quella esplicita prevista dalla legge (il 3%). Soprattutto al senato, dove per esempio nel 2018 con il 3,28% dei voti validi Leu ha conquistato quattro senatori in un senato a 315; in un senato a 200 la stessa percentuale solo in teoria potrebbe dare diritto a 2 senatori. In pratica andrebbe assai peggio perché l’elezione è su base regionale e ogni regione eleggerà meno senatori. Inoltre Lega e 5 Stelle hanno deciso di confermare la legge elettorale in vigore, il Rosatellum con il suo forte effetto maggioritario: sarà certamente amplificato dall’applicazione a un numero ridotto di collegi.

Alla soglia politica si aggiungerà una soglia territoriale: i collegi del Rosatellum diventeranno enormi, anche in questo caso soprattutto al senato dove i collegi uninominali medi diventeranno di 800mila abitanti e in alcuni casi di oltre un milione. Essendo stati respinti tutti gli emendamenti che provavano a garantire la rappresentanza dei territori a bassa densità abitativa «deputati e senatori saranno espressione solo dei grandi centri urbani», come ha spiegato il capogruppo di Leu Fornaro. Contemporaneamente gli eletti all’estero – che sono stati ridotti ma mantenuti – diventeranno rappresentanti intercontinentali, dovendosi accorpare i collegi. Per essere eletti (con le preferenze!) dagli italiani residenti all’estero, bisognerà fare campagna elettorale contemporaneamente in Nord America, Asia e Oceania. Infine l’effetto combinato del taglio dei parlamentari e del mantenimento del Rosatellum produrrà disparità anche tra le regioni. Non tutte le rappresentanze regionali sono infatti ugualmente tagliate. Ad esempio il Trentino perde il 14% dei senatori (da 7 a 6), la Toscana il 33% (da 18 a 12) ma la Basilicata e l’Umbria il 57% (da 7 a 3 senatori). Stesso discorso vale per i deputati.

Quanto ai risparmi, stanno molto a cuore ai 5 Stelle che parlano infatti di «taglio delle poltrone» e al ministro Fraccaro che ieri ha dedicato a questo il suo tweet di felicitazioni: «La riforma porterà a un risparmio di 500 milioni». A legislatura, sostiene, cioè 100 milioni l’anno. Curioso che si tratti della stessa cifra propagandata da Renzi e Boschi con la loro riforma costituzionale che tagliava suppergiù lo stesso numero di indennità parlamentari (315 invece di 345) ma che i 5 Stelle hanno sempre contestato, dall’opposizione. La ragioneria generale, allora, più che dimezzava le previsioni di risparmio.

L’altro argomento usato dai 5 Stelle è quello dell’efficienza: un parlamento a ranghi ridotti dovrebbe, secondo loro, lavorare meglio. Diversi costituzionalisti ascoltati in commissione hanno spiegato che non è così. Perché, ad esempio, i rappresentanti dei gruppi più piccoli – al limite, al senato, un solo rappresentante – dovranno dividersi in più commissioni. Cosa che adesso è vietata alla camera e consentita (fino a un massimo di tre commissioni) solo al senato: i regolamenti in diversi articoli prevedono soglie a cifra fissa. Cambiando il numero dei deputati e dei senatori queste soglie andrebbero riviste, a garanzia sopratutto delle minoranze. Non è detto che lo saranno: anche la norma transitoria proposta da Magi di +Europa è stata respinta.