Oggi presso la Corte permanente di arbitrato dell’Aja si concluderà l’udienza di due giorni che segna l’inizio del processo di arbitrato internazionale per la giurisdizione del caso Enrica Lexie. Un procedimento che giungerà a compimento non prima del 2018 e che vede Italia e India confrontarsi davanti a un pool di cinque giudici internazionali esponendo le rispettive tesi circa la giurisdizione di un caso che ormai si protrae da quasi quattro anni.

Dal febbraio del 2012 i due fucilieri di Marina Salvatore Girone e Massimiliano Latorre sono gli unici indagati per il duplice omicidio di Valentine Jelastine e Akesh Binki, pescatori indiani uccisi da colpi di armi automatiche provenienti da una «petroliera» che gli inquirenti indiani ritengono essere l’Enrica Lexie.

Dopo un braccio di ferro diplomatico e legale che ha portati ai ferri corti le relazioni bilaterali indo-italiane, ieri i rappresentanti legali italiani hanno esposto davanti alla Corte dell’Aja la prima richiesta di misure provvisorie con la quale Roma vuole ottenere un primo risultato tangibile: il rientro di Salvatore Girone in Italia. Se Massimiliano Latorre è tornato a risiedere a Taranto ormai da oltre un anno e mezzo in virtù della «licenza per motivi di salute» accordata nel settembre del 2014 dalla Corte suprema indiana – e rinnovata quattro volte fino alla prossima scadenza provvisoria, 30 aprile 2016 – a seguito dell’attacco ischemico di cui il fuciliere ha sofferto nella capitale indiana, col congelamento dei procedimenti penali in India ordinato dal Tribunale del Mare di Amburgo (Itlos) nell’agosto del 2015, l’internazionalizzazione del caso auspicata e ottenuta dall’Italia ha avuto come effetto collaterale la cristallizzazione della situazione di Salvatore Girone.

Il fuciliere risiede ininterrottamente all’interno dell’Ambasciata d’Italia a New Delhi dal marzo del 2013 e, coi tempi tecnici dell’arbitrato all’Aja, rischia di non poter lasciare l’India, parafrasando l’agente italiano Francesco Azzarello, «per almeno altri quattro anni». Una condizione che per i legali italiani configurerebbe una «grave violazione dei diritti umani» di Girone, trattenuto lontano dalla propria famiglia da tre anni e nove mesi (salvo due licenze di un mese ciascuna).

La richiesta di rientro di Girone, si legge nei documenti depositati dall’Italia presso tribunale arbitrale all’Aja, è sostenuta da motivazioni appunto «umanitarie», in aggiunta all’assenza della «chargesheet» sulla quale gli inquirenti indiani avrebbero dovuto indicare precisamente i capi d’accusa imputati a due fucilieri. Documento che gli indiani non hanno mai prodotto. L’India, dal canto suo, controbatte rilevando che la richiesta italiana ricalca parola per parola un’analoga richiesta avanzata dai legali italiani di fronte ai giudici dell’Itlos, lo scorso mese di agosto. Il pool di giudici di Amburgo l’aveva respinta, evidenziando come l’eventuale rientro di Girone non avrebbe «tutelato in egual misura i diritti di entrambe le parti» fino alla formazione del collegio arbitrale all’Aja.

E ora, che il collegio arbitrale c’è e il procedimento internazionale all’Aja è iniziato, l’India ricorda come l’Itlos, nell’agosto del 2015, abbia respinto la richiesta di rientro di Girone constatando l’assenza dei princìpi di «urgenza» e «rischio di pregiudizio irreparabile», precondizione necessaria per la sospensione della privazione della libertà del fuciliere. Condizione che, a sette mesi di distanza dove di fatto nulla è cambiato se non la data sul calendario, continuerebbe a mancare, e impedirebbe alla corte arbitrale dell’Aja di accordare il rientro di Girone.

Altro tema centrale del dibattimento è stato lo scambio di accuse tra Italia e India circa i continui rinvii del processo in India, con sostanzialmente tre anni passati da un’aula di tribunale all’altra senza che l’accusa indiana riuscisse nemmeno a formulare i capi d’accusa. L’Italia sostiene sia colpa degli inquirenti indiani, che in mancanza di prove contro Latorre e Girone hanno preferito dilatare i tempi del procedimento giudiziario; l’India, per contro, sostiene che sia stata proprio l’«atteggiamento dilatorio» di Roma a paralizzare il processo. I giudici dell’Aja dovrebbero pronunciarsi sull’eventuale rientro in Italia di Girone tra non meno di un mese.