Non importa se lo aveva visto solo il pubblico rarefatto del Sundance: dalla sua prima proiezione, in gennaio, The Birth of a Nation (oggi e domani alla Festa del cinema di Roma) – storia della sanguinaria rivolta comandata dallo schiavo mistico Nat Turner, nel 1831- era il titolo da battere agli Academy Awards, l’espediente miracoloso che avrebbe riscattato Hollywood dall’imbarazzo di #OscarSoWhite: un film indie con ambizioni spettacolari da grande pubblico, scritto, diretto e interpretato da un poco conosciuto attore afroamericano, concepito sotto l’egida del Lab di Robert Redford e distribuito dallo Studio di 12 anni schiavo.

Persino il massacro finale (quando gli schiavi fanno a pezzi i bianchi) aveva una sua funzione nel clima culturale odierno – soddisfacendo, in un colpo solo e in chiave catartica, l’indignazione di Black Lives Matter e la liberal guilt, il senso di colpa che l’orrenda eredità dello schiavismo evoca nel pubblico educato, progressista e bianco. Otto mesi dopo, The Birth of a Nation si è trasformato in un’anatra zoppa. Arrivato in più di duemila sale americane il week end scorso (l’uscita massiccia, insolita per un film indie, era stata concordata all’acquisto, che la Searchlight si è assicurata al Sundance per la cifra quasi-record di 17.5 milioni di dollari), il film ha incassato poco più di 7 milioni. La matematica implacabile del botteghino lo ha già decretato un flop, incalzato perdipiù da una valanga di film «da Oscar» in arrivo.

La sua corsa al box office, e alla statuetta, è infatti inciampata, in tarda estate, nella brutta storia di un processo intentato contro Parker, nel 1999, per lo stupro di una studentessa della Penn University dove anche lui era iscritto. Parker fu assolto ma, da quando la vicenda è emersa, insieme alla rivelazione che la ragazza coinvolta si è suicidata nel 2012, si è trovato in un fuoco incrociato di polemiche, denunce, chiamate al boicottaggio, conferenze stampa, apparizioni in tv, editoriali pro e contro, in cui è stato inghiottito anche il film. Prima che il pubblico lo avesse visto.

Al Sundance (il manifesto del 27/1/2016), The Birth ci era sembrato un biopic convenzionale, a tratti noioso, spettacolarizzato alla Mel Gibson (ma senza quel talento registico), politicamente grezzo (al contrario del documentario su Nat Turner realizzato da Charles Burnett), che trovava la sua forza nell’interpretazione, e nella convinzione, dell’autore – per la prima volta alla regia, e alle prese con un soggetto molto difficile; e un soggetto spesso evocato nella pop cultura nera ( Kendrick Lamar in Mortal Man è un esempio) e in chiave delirante persino da Gualtiero Jacopetti, nel suo kolossal sullo schiavismo, Addio Zio Tom. Ma parlarne in quei termini critici con chiunque era impossibile, data l’aura di santità e di inevitabilità che lo ha avvolto fin da subito, e che la Searchlight ha cavalcato con la stessa spregiudicatezza con cui aveva disegnato la campagna agli Oscar di 12 anni schiavo.

Impossibile anche ipotizzare qualsiasi ambiguità nei confronti dell’interpretazione trionfalistica, messianica, che il film di Parker dà di Nat Turner – un mix complicato di schiavo, pastore religioso, leader popolare e sanguinario vendicatore, di cui si sa poco, e a cui, nel 1967, William Styron aveva dedicato un romanzo bello e importante, The Confessions of Nat Turner, che vinse un Pulitzer e piaceva molto, tra gli altri, a James Baldwin, John Cheever e William Lowell, ma che nell’attuale clima culturale, è considerato radioattivo perché scritto da un bianco.

Parker, nelle sue interviste, lo ha aspramente criticato. Intervistato sul magazine della CBS 60 Minutes, la settimana scorsa, l’attore regista tratteneva a fatica lacrime di rabbia: continuavano a parlare della causa di stupro, e gli stavano chiedendo di scusarsi per un reato da cui effettivamente è stato assolto.
Cosa che si è rifiutato di fare. Cosi, il giorno dell’uscita di The Birth Of a Nation l’organizzazione F*** Rape Culture ha tenuta una veglia a lume davanti all’Arclight di Los Angeles.
Certo, è ironico che, una demagogia speculare a quella che ne aveva data per scontata la fortuna capovolga le sorti di The Birth. Packaged fin dall’inizio meno come un testo da scoprire che come un’operazione promozionale, un fait accompli, il film –bello o brutto- non ha mai avuto una chance.