Fra le cose che Paolo Rosa ci lascia in eredità, la scuola di Nuove Tecnologie dell’Accademia di Brera, di cui è stato uno dei fondatori, è certamente l’opera incompiuta più anarchica e ribelle: una sorta di interzona dell’alta formazione italiana con cui lui stesso non ha mai smesso di confrontarsi, anche aspramente, per il bene degli studenti. A questo luogo è legato il primo ricordo. In un’aula molto affollata, seduti all’angolo in ultima fila, ci siamo io Francesco e Carlo. Il foglio delle firme per le presenze passa fra le sedie e arriva a noi. Segniamo il nostro nome e negli spazi fra l’uno e l’altro aggiungiamo, Werner Herzog, Jonas Mekas, Jack Sparrow. È la nostra piccola ribellione cinematografica al dominio che l’Interazione multimediale ha sull’aula, e alla volontà di Rosa di traghettarci oltre i confini dello schermo, mentre noi tentiamo strenuamente di trascinarlo all’indietro. Lo facciamo chiedendogli di mostrare a lezione Facce di festa e Lato D.

Sono due film. Il primo, del 1980, presentato a Venezia, è stato girato nel giro di poche ore durante un festa milanese nel giugno del ’79. È un montaggio di interviste, riprese della festa e immagini rubate all’insaputa dei partecipanti, ritratti in situazioni proibite. Lato D è invece del 1983 ed è forse il film a cui siamo più affezionati. D frequentava il Liceo di Brera ed era un allievo di Rosa prima dell’accademia. Il film è composto con il materiale che D ha prodotto (fra il ’77 e il ’78) filmando se stesso e ciò che gli stava intorno, con una cinepresa Super8. Situazioni quotidiane, riflessioni registrate e poi trascritte in forma elettronica sotto le immagini. Lo vediamo mentre emula Lou Reed, o mentre si taglia con una lametta e sotto leggiamo: «cercare dentro di sé con le lamette… Ho scoperto poi che si trattava di BODY ART».

Rosa ci racconta anche che D è sparito nel nulla e quello stesso giorno ci parla dell’occupazione della chiesa di San Carpoforo e dell’esperienza del Laboratorio di Comunicazione militante.
Il secondo ricordo è legato a due paradossi. Il primo riguarda Visit to Pompei, un’installazione video di Studio Azzurro fatta di monitor che trasmettono immagini a infrarossi e che riprendono alcune anfore antiche la cui sagoma diviene percepibile solo attraverso il contatto umano che rilascia calore. Perché sarebbe proibito toccare con mano l’antichità?
Poi c’è il nuotatore: l’acqua, ci aveva detto, era per lui l’elemento più importante e allo stesso tempo quello più pericoloso, fatale, per i suoi strumenti di lavoro: il computer, i cavi, l’elettricità, la tecnologia contemporanea. Devo dire che questa cosa mi è tornata in mente quando ho pensato a Corfù, all’azzurro del mare greco.