Nicola Zingaretti stringe i bulloni della sua rete e inizia a fare qualche mossa. Obiettivo: lavorare alla sua corsa al vertice del Pd ma anche mettere sotto pressing l’attuale segretario Maurizio Martina. Che, dopo essere stato votato dalla sinistra del partito all’assemblea nazionale in cambio della promessa di un congresso da concludersi prima delle europee, ora ha cambiato passo e ha dato un discreto ma deciso colpo di freno alla macchina organizzativa. E ha deciso di affrontare il dossier delle assise con tutta calma.

NON A CASO MERCOLEDÌ scorso, all’uscita dalla prima riunione di segreteria convocata a Tor Bella Monaca, un renziano di rango scherzava con un collega di partito: «Il congresso? Lo faremo nel 2019, questo è sicuro». Martina prova dunque ad allungarsi la vita al Nazareno. Del resto ha sempre maltollerato il fatto di essere un leader «con la scadenza, come uno yogurt». Il fatto è che Renzi e i renziani, ancora in cerca di un candidato, lo assecondano e lo appoggiano. Il suggello della ritrovata sintonia fra l’ex segretario e il suo ex vice è stata la partita delle bicamerali e delle nomine: praticamente tutti renziani.

Zingaretti fiuta dunque un altro rinvio del congresso e una vigilia che potrebbe prolungarsi all’infinito, e muove le sue pedine. Soprattutto nei week end, per non essere accusato di trascurare la regione. Vede giornalisti, sonda il terreno per capire come sarà accolta la sua corsa dai media. Valuta la presenza alle iniziative estive di alcune testate, insieme a quella nelle feste dell’Unità dalle quali fioccano le richieste di comizi. Organizza la sua rete, fuori e dentro il partito. Evitando con cura di apparire il candidato della sinistra interna, ma neanche il nuovo riferimento dei trasformisti di sempre. E così i suoi da una parte valutano persino con sollievo la notizia che Gianni Cuperlo accarezzi l’idea di ritentare alle primarie. Dall’altra tengono le distanze dai potentati del partito: nessuno accordo con Dario Franceschini e con gli antirenziani dell’ultima ora. Zingaretti cercherà di parlare direttamente con il popolo dem. Unica eccezione, Paolo Gentiloni: l’ex premier gli dà una mano sin dalle prime mosse. Ma la strategia è «base, tanta base» spiega chi ci ha parlato di recente.

BASE DEM, DUNQUE, civici e associazionismo cattolico. I primi a essere stati convocati, all’indomani delle amministrative, erano stati infatti i sindaci che lo hanno sostenuto alle regionali. Il presidente li ha riuniti per rivendicare le vittorie, quasi le uniche che le coalizioni progressiste potevano vantare in quella tornata. Ma soprattutto per discutere i punti il suo “manifesto” per le alleanze civiche e democratiche, un modello vincente nel Lazio e ora da esportare in tutta Italia, anche alle amministrative del 2019.

Poi c’è la rete dell’associazionismo cattolico. Il riferimento diretto è Paolo Ciani, consigliere regionale, eletto con Centro solidale e proveniente dalla Comunità di Sant’Egidio, vicinissimo all’ex ministro Riccardi e all’ex viceministro Mario Giro. La rete conta su attivisti di area cattolico-sociale come Cristiano Carrara, Rita Visini e Francesco Scoppola.

UN ALTRO SEGNALE è arrivato da fuori dal partito. Giovedì scorso a Roma la rete Futura, nata lo scorso 16 giugno, si è formalmente strutturata. Presidente onoraria Laura Boldrini, coordinatore il giovane Marco Furfaro. Nel comitato nazionale c’è il regista dell’operazione, il vicepresidente del Lazio nonché braccio destro (sinistro in realtà si dovrebbe dire) Massimiliano Smeriglio. Con lui molti esponenti dell’ex area di Giuliano Pisapia. «Non siamo un partito politico», spiega Boldrini, «ma una rete che aggrega persone e associazioni. Una rete aperta che guarda al mondo senza paura e vuole valorizzare le tante esperienze innovative che ci sono nel Paese. Uomini e donne che non si arrendono alla deriva oscurantista dell’attuale governo e che vogliono rilanciare una dimensione politico-culturale alternativa a partire dalle tematiche giovanili, l’ambientalismo, il femminismo, i diritti civili e sociali».

INFINE LE MOSSE nel partito. In queste ore si moltiplicano i parlamentari che chiedono pubblicamente a Martina di stringere i tempi del congresso. E’ la formula rituale dell’iscrizione alla corrente di Zingaretti, che però rifiuta l’idea stessa e infatti fin qui ha disertato tutti i caminetti e le riunioni dei capi bastone. Lui punta sulle iniziative della «base», appunto. E quelle cominciano ad arrivare: venerdì scorso il segretario regionale dell’Emilia Romagna, Paolo Calvano e i segretari provinciali di Forlì, Ravenna, Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Bologna, Modena, Rimini, Cesena, Imola e Ferrara hanno scritto a Martina un appello per convocare subito il congresso per «individuare una nuova classe dirigente» e che sia «aperto tra ottobre e novembre, in concomitanza con i congressi territoriali, per chiudersi in tempi congrui alla adeguata preparazione delle elezioni europee e amministrative del 2019». Nell’ex regno di Bersani in realtà il presidente della regione Stefano Bonaccini è tentato dalla ricandidatura ma anche dalla corsa per la segreteria dem. Ma, almeno per quest’ultima, i suoi dirigenti hanno già scelto il collega del Lazio. Ma soprattutto, insieme ai dirigenti della Toscana e del Piemonte, puntano alla riorganizzazione rapida del partito prima delle europee: perché nel 2019 ci saranno anche i rinnovi dei consigli regionali di quelle tre regioni. E senza un partito davvero “ripartito” il rischio per il Pd è di prendere un’altra botta pesante, stavolta irrimediabile.