«Le tattiche finora utilizzate per bloccare le arterie principali sono state molto diverse tra loro: decine di auto in finta panne o file di autobus e auto a passo d’uomo e, da oggi, anche gente che rompe borse di cipolle in mezzo alla strada e che, molto lentamente, cerca di recuperarle».

LO RACCONTA UNA FONTE a Yangon che chiede chiaramente l’anonimato. Racconta una creatività della protesta, non è chiaro quanto organizzata o semplicemente spontanea, che segna un movimento di disobbedienza civile che arriva oggi al 15mo giorno da che la gente ha cominciato la protesta non violenta contro il golpe militare del 1 febbraio.

«Molta gente che ha soldi – aggiunge – ha cominciato a devolvere grosse somme agli scioperanti: parliamo di qualche milione di dollari… Lo fanno per sostenere le famiglie e il fenomeno è in aumento». Nel 14mo giorno di protesta ieri, le piazze si sono un po’ meno riempite rispetto a un paio di giorni fa ma è solo un’alternanza di momenti che lascia spiazzati polizia ed esercito.

SI SONO SEGNALATI SPORADICI episodi di violenza mentre salgono gli arresti (attorno ai 500) adesso anche di semplici lavoratori che hanno incrociato le braccia. Le banche sono chiuse, il Paese è fermo e gli scioperanti si nascondono per non essere arrestati.
Il monaco Bhamo Sayadaw Bhaddanta Kumara intanto, l’uomo al vertice della State Sangha Maha Nayaka Committee, ha nuovamente rilanciato una proposta di dialogo questa volta pubblicamente (aveva già scritto ai generali in privato) mentre alle sanzioni decise da Washington si sono unite ieri sia Canada sia Gran Bretagna, congelando i beni dei vertici dell’esercito (Tatmadaw).

MA SE IL PAESE È FERMO la piazza è in continuo fermento. Comincia alle 8 di sera, a manifestazioni finite e prima che inizi l’oscuramento della Rete, per ritmare su padelle e pentole quella contestazione pacifica che è stato il primo segnale della protesta.

Di giorno in piazza, di notte in casa a battere le pentole o a proiettare immagini di Aung San Suu Kyi, sempre da posti diversi, sulle pareti dei palazzi.
Il quotidiano web Irrawaddy – una voce nota sin dai tempi della vecchia dittatura – descrive l’attività frenetica dei social birmani dove «i messaggi sono generalmente codificati e le cose spesso il contrario di quel che sembrano: se vedi sui social un post di manifestanti anti-golpe che dice: “Per favore non farlo domani”, devi fare il contrario. In realtà ti stanno incoraggiando a fare la tal cosa».

Tecniche che ricordano quelle dei manifestanti tailandesi, che si davano appuntamento via sms pochi minuti prima del concentramento. Oppure come a Hong Kong: bigliettini con slogan e messaggi appiccicati ai muri (i cosiddetti «Lennon Walls») o alle fermate dei bus.

E ANCORA, ENORMI SCRITTE lungo una strada che possono essere lette dal cielo tanto sono grandi. In inglese questa volta, per far sapere al mondo che la protesta va avanti. La creatività non ha confini. E se la polizia cancella, lungo le strade o sui muri, la mattina dopo le scritte riappaiono: «Rispettate il voto», «NO alla dittatura», «Liberate Aung San Suu Kyi». Inutile dire quanto girino sui social messaggi, scritti o vocali, e soprattutto video che diventano rapidamente virali.

Ieri mattina, un gruppo di musicisti («peaceful musicians» recitava un cartello) si son dati appuntamento davanti all’ambasciata britannica. Nel bel mezzo del video esce l’ambasciatore del Regno Unito e fraternizza con loro. Che fanno il giro della Rete.

La situazione resta comunque tesa. Al netto di quella che sembra una gestione del golpe piuttosto abborracciata, come se i militari non sapessero bene come reagire a un movimento tanto vasto, la giunta continua il lavoro sporco: riscrive le leggi, arresta chi protesta, crea nuove strutture di potere.
Ieri – ci riferisce un’altra fonte – lo State Administrative Council (la giunta) ha creato un «Advisory Group» composto da personaggi dal curriculum illustre: tre generali, un costituzionalista (che aiuta Tatmadaw a dare cornice legale al golpe), Yin Yin Oo, figlia di Maung Maung, ex-braccio destro e consigliere legale dell’ex dittatore Ne Win. E anche Yin Yin Nwe, ex direttrice di Unicef in Cina, «nota – dice la fonte – per il suo odio profondo verso la Lega per democrazia e i musulmani».