Sono gli esseri che popolano la repubblica vegetale a offrire soluzioni per il caos del clima e per il futuro dell’umanità, spiega Stefano Mancuso. Botanico presso l’università di Firenze, ha appena vinto il premio Hemingway «Avventura del pensiero». Motivazione: «Per averci permesso di cogliere come le piante siano organismi viventi niente affatto inferiori, ma anzi sofisticati e dotati di intelligenza, apprendimento e memoria (…); reti viventi che parlano anche a noi, se siamo capaci di guardare a un regno diverso da quello animale senza pregiudizi, ma con desiderio di conoscere».

Più che regno vegetale, una «repubblica comunitaria». E la nazione delle piante (per citare il titolo di un suo libro) ha una Costituzione saggia. Quali i principi?

Immagino che siano le piante a scrivere gli otto articoli, ponendo al centro gli esseri viventi. Cambiando la prospettiva sulla quale valutiamo diritti, doveri e necessità, tutto cambia. Anche le più belle leggi fondamentali degli Stati sono incentrate sull’essere umano: è invariabilmente un punto debole perché la sopravvivenza della nostra specie è legata a quella della rete della vita. La Nazione delle piante non riconosce le gerarchie imperanti nel regno animale, favorisce democrazie vegetali diffuse e decentralizzate, vieta il consumo di risorse non rinnovabili, non prevede confini, favorisce il mutuo appoggio fra le comunità naturali di esseri viventi.

Plant Revolution è un altro suo libro: in che senso le piante hanno già inventato il nostro futuro?

La maggior parte dei problemi che oggi affliggono l’umanità – riscaldamento globale, esaurimento delle risorse, iniqua distribuzione della ricchezza – viene affrontata da una prospettiva animale. Ma è il mondo delle piante a suggerirci soluzioni del tutto peculiari, che potrebbero essere la chiave per affrontare il futuro. Le organizzazioni umane sono fortemente gerarchiche e per questo fragili e poco creative. Pensiamo invece alle potenzialità della rete, quando se ne fa un uso intelligente. Wikipedia, lo strumento principale di condivisione della conoscenza, ha creato in poco tempo l’equivalente di 35 mila volumi dell’Enciclopedia britannica attraverso un’organizzazione senza capi. È una prospettiva di tipo vegetale.

In una conferenza a Cortona – ne possiamo rivedere alcuni passaggi sul canale Il bosco di Ogigia – ha spiegato che dovremmo piantare mille miliardi di alberi per salvarci dall’incubo climatico. E’ la pluriannunciata Trillion tree campaign. Perché non galoppa?

Per motivi contingenti. Come mai gli scenari del trasporto elettrico e delle energie rinnovabili stanno vivendo una grande espansione? Perché presentano anche una convenienza economica. Eppure piantare quei miliardi di alberi è una soluzione imprescindibile: occorre ridurre la quantità di anidride carbonica già presente in atmosfera. Invece le proposte più gettonate ruotano intorno al solo contenimento delle ulteriori emissioni. È del resto diffusa l’idea che la transizione ecologica coincida con la transizione tecnologica: le tecnologie come soluzione universale. Non è così. E si paventano scenari estremi per i prossimi decenni: oggi le terre non abitabili a causa di estremi termici sono lo 0,8%, ma potrebbero arrivare al 18% nel 2070. Che cosa accadrà a due miliardi di esseri umani costretti ad andarsene?

La campagna dei mille miliardi di alberi non rischia però di diventare una falsa soluzione, un escamotage per non cambiare il resto?

Va reso evidente che ripopolare di alberi il pianeta ci permetterà di guadagnare qualche decennio, durante il quale sarà comunque indispensabile un cambiamento di fondo nel modello di sviluppo.

In una vecchia cartolina pedagogica, la bambina dice al grande albero in una giornata d’autunno: «Ci regali già frutti, ombra, ossigeno, umidità del suolo…ora anche le tue foglie!» E le espressioni della generosità vegetale non finiscono lì.

Si pensi alle virtù terapeutiche dell’insieme delle piante. La loro attività sulla salute è diretta ed effettiva. Intanto per il dono di principi attivi che servono a prevenire o debellare le malattie. Una nutrita letteratura scientifica dimostra come la presenza di alberi nelle città diminuisce in maniera molto significativa l’incidenza di molte malattie. Si sa che più reddito significa – in genere – più possibilità di cura: ebbene, negli Stati uniti uno studio ha dimostrato che arricchire di alberi un quartiere urbano equivale, per la salute delle persone residenti, ad aumentare di 10 mila dollari annui il loro reddito. Uno studio recente in Norvegia ha messo a confronto classi popolate di piante e classi prive. Risultato dopo un anno: nel primo gruppo di classi la carriera scolastica degli studenti è stata migliore, la socializzazione anche, il bullismo è crollato, i giorni di malattia sono stati inferiori. Allora perché i nostri interni, scuole e luoghi di lavoro, ma anche ospedali, Rsa, carceri, sono spogli?

Le piante non sono affatto immobili; viaggiano nello spazio e nel tempo portando la vita, percorrono la storia e la geografia. Lo racconta il saggio L’incredibile viaggio delle piante. E La pianta del mondo tratteggia la mappa sulla base della quale è costruito l’intero pianeta…

I singoli individui vegetali, è vero, sono radicati, fermi. Ma il loro mondo va visto come intergenerazionale: e le generazioni, in rapida successione, sono in grado di muoversi e viaggiare su tutto il pianeta. Lo hanno sempre fatto e lo fanno, anche di più. in altitudine e latitudine – per rispondere agli stessi cambiamenti climatici. Parlare di flora locale, in fondo, è improprio. E’ l’erede delle piante viaggiatrici del passato. Poi la mappa stessa del mondo è fatta dalle piante, che spiegano come funziona il nostro pianeta. Anzi sono loro a guidarlo. Ma non lo capiamo. E questo è un pericolo.

Avevate inventato, come università di Firenze, la Jellyfish Barge, serra galleggiante. Che fine ha fatto?

Ha vinto tutti i premi internazionali possibili, complimenti a pioggia, ma non è stata utilizzata. Eppure era in grado di produrre risparmiando suolo e acqua (desalinizzata con l’energia solare). Certo, produrre alimenti con la Barge costerebbe il 30% in più, ma solo se non si incorporano nel prezzo le ricadute ambientali della produzione convenzionale.

Il mondo vegetale acquatico – piante marine e alghe – può offrirci altri doni, sia sul fronte nutrizionale che climatico?

Svolgono un’attività ecologica straordinariamente utile. Pensiamo alle posidonie; dove ci sono, vuol dire che gli ecosistemi sono ancora preservati. Sono piante acquatiche vere e proprie, anche se le chiamiamo alghe. Queste ultime non sono piante superiori. Le creature acquatiche vegetali producono molta parte dell’ossigeno a livello planetario, albergano importanti principi nutritivi e possono fornire energia da biomassa.

Jagadish Chandra Bose, fisico e botanico indiano, è stato fra i pionieri negli studi sulla sensibilità delle piante – insieme a scienziati sovietici. Ma la sensibilità significa anche forse il dolore, quella pena che nel mondo umano e animale è rilevata dai nocicettori e dalla coscienza? Insomma, l’urlo del filo d’erba?

Questione molto complessa. Le piante sentono ancora meglio degli animali: essendo ferme devono capire bene ciò che accade. I segnali che si registrano quando, ad esempio, tagliamo un ramo o una foglia, hanno a che fare con l’idea di dolore? Dal punto di vista strettamente scientifico non lo sappiamo. Ma ritengo di no, perché nelle piante il dolore non avrebbe senso – non possono nemmeno scappare. E soprattutto è sbagliato guardare alle piante come se fossero animali. Non è così: per gli esseri vegetali addirittura l’essere mangiati è fondamentale, in molte parti della loro vita. Di una pianta puoi rimuovere fino all’80% del corpo e può ancora vivere.