Le guerre che stanno insanguinando la Siria e la Libia hanno fatto decretare il fallimento di tutte le rivolte arabe oscurando quelle esperienze che ancora mantengono viva qualche speranza di evoluzione positiva. Certo non si è arrivati a «cambiare radicalmente la situazione della società araba» per questo, secondo il famoso poeta siriano Adonis (in Violenza e islam), non si può parlare di rivoluzione. Ma neanche di totale fallimento delle rivolte: alcuni dittatori sono caduti e la «rivoluzione» non si è trasformata ovunque in una lotta sanguinosa per il potere, come in Libia e in Siria.

Una rivolta possibile?
Una delle eccezioni – e la più positiva – è sicuramente rappresentata dalla Tunisia, quella che Stefano M. Torelli, nel suo libro La Tunisia contemporanea (il Mulino, pp. 216, euro 14) definisce un laboratorio la cui storia è in continua evoluzione: «tra sfide globali e mutamenti interni». Torelli, ricercatore dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale), nel suo libro affronta la storia del paese, fin dalla conquista arabo-islamica del VII secolo, per arrivare alle elezioni del 2014. La parte più approfondita è naturalmente quella più recente, dal 2011, con lo scoppio della rivolta che avrebbe poi contagiato numerosi paesi arabi.
Per Torelli quella tunisina è una «repubblica sospesa» che se riuscisse a raggiungere gli obiettivi della rivoluzione – la costruzione di un paese democratico – potrebbe rappresentare un esempio per altri paesi dell’area. Questa è la sfida. Si è infatti rivelato velleitario il «modello turco» che fino a qualche anno fa sembrava rappresentare il miraggio delle rivolte arabe. L’autoritarismo di Erdogan, il suo appoggio all’Isis, la repressione dell’opposizione ne hanno svelato la vera natura. Tuttavia, Torelli in qualche modo sembra ispirarsi al passato «islamo-democratico» di Erdogan, per sostenere che il partito islamista tunisino Ennahdha è autenticamente democratico, depurato delle frange estreme. L’autore riconosce che il primo voto del dopo Ben Ali, che ha portato al successo Ennahdha, è stato per molti tunisini un voto di protesta e quindi non di adesione al progetto islamista. Ma soprattutto mette in evidenza gli aspetti positivi del partito islamista, come la diffusione su tutto il territorio e la sua «immacolatezza» rispetto al passato regime. La potente rete organizzativa e gli aiuti alla popolazione però non sarebbero stati possibili senza gli ingenti aiuti finanziari arrivati per la campagna elettorale dall’Arabia saudita e dal Qatar, che ha messo a disposizione anche la sua tv satellitare, al Jazeera. E questo non è secondario.

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Non c’è dubbio che Ennahdha, come la sua guida spirituale e fondatore Rachid Ghannouchi, che non ha occupato nessuna carica nel governo, ha dato prova di grande pragmatismo. Quando i salafiti si rivolsero a lui per forzare le tappe e prendere il potere, Ghannouchi aveva risposto – ne è stato diffuso il video registrato – che bisognava attendere di avere il controllo di settori istituzionali e militari che ancora non erano nelle loro mani, prima di forzare le tappe. Il partito islamista non ha però mai fatto nulla quando i salafiti occupavano le università o attaccavano l’ambasciata americana. Nonostante Ennahdha avesse la maggioranza relativa nella costituente, la costituzione non introduce la sharia e non cancella di diritti delle donne, sebbene Torelli non spieghi come si sia arrivati a questo risultato – dopo tre anni di braccio di ferro. Gli islamisti volevano introdurre la sharia e a un certo punto si era parlato anche di hudud (le pene previste dal corano), poi invece è prevalso il compromesso. Perché? Non per la disponibilità degli islamisti, ma per il ruolo giocato dal Quartetto (sindacato, confindustria, associazione degli avvocati e lega per i diritti dell’uomo), che ha ricevuto il premio Nobel per la pace nel 2015.

Sinfonie politiche
La tensione era alta in Tunisia, soprattutto dopo gli assassini di uomini politici della sinistra che avevano provocato grandi mobilitazioni contro il governo, finché il Quartetto non è riuscito a farlo dimettere e a creare un governo di tecnici per arrivare alle nuove elezioni. A pesare e a indurre gli islamisti al compromesso è stato anche il timore che in Tunisia intervenissero i militari, come era successo in Egitto. Anche se i militari tunisini non hanno mai avuto un ruolo determinante nella gestione del paese.
Le nuove elezioni (politiche e presidenziali) del 2014 sono state vinte da un partito laico di centro, Nidaa Tounes, che vive momenti molto travagliati al suo interno. Il merito di Ennahdha, per Torelli, è stato quello di accettare il risultato elettorale e di appoggiare, partecipandovi, il governo. Ancora una volta entrambe le parti hanno dato prova di grande pragmatismo.
Avendo seguito molto da vicino la situazione tunisina direi che il grande segnale che viene dalla Tunisia è la maturità del suo popolo che ha permesso agli islamisti di andare al potere e poi glielo ha tolto, e quello di Ennahdha di permettere che questo accadesse.
Grande ruolo nella lotta per la democrazia deve essere riconosciuto al movimento delle donne che fin dalle prime manifestazioni ha avuto un protagonismo evidente. Il mantenimento di uno stato laico, pur tra mille contraddizioni, espone però la Tunisia all’attacco dei jihadisti dell’Isis (nelle cui file militano anche molti tunisini) che ha già compiuto sanguinosi attacchi. La vicinanza della Libia mantiene la Tunisia ancora più «sospesa».