«È tale il mio dolore che non riesco ad esprimerlo a parole. Sono disperato perché amo il mio popolo e il mio paese. Non mi è facile dire che il Myanmar non è un posto dove poter ritornare a vivere, dove poter crescere assieme alla mia famiglia e dove poter lavorare liberamente». A parlare è Bawi Hlei Hu, etnia chin, interprete per i rifugiati del Myanmar presso lo Socio-Legal Information Centre e l’ufficio dell’UNHCR in India. Ha lavorato più volte per l’ambasciata degli Usa, Australia, Canada, Ue, Usa e negli ultimi sette anni, grazie al suo appoggio, molti richiedenti asilo hanno ottenuto lo status di rifugiati e sono stati reinsediati in paesi terzi.

Bawi Hlei Hu ci risponde da New Delhi, dove tutt’ora sono presenti 5000 rifugiati Chin, una delle principali etnie del Myanmar annoverata tra i gruppi fondatori (assieme ai Kachin, gli Shan e i birmani) dell’unione del Myanmar, nata il 4 febbraio del 1947. L’India non è un paese firmatario della Convenzione sui rifugiati del 1951, non ha un codice interno per identificare e proteggere i rifugiati, pertanto non si ritiene obbligata ad offrire loro alcuna protezione giuridica.

Perseguitati fin dal 1962 dal regime socialista-militare, in Myanmar sono rimasti poco meno di 500.000 Chin, di cui il 99% cristiani. Bawi Hlei Hu ci spiega che il governo (Tatmadaw) del Myanmar viola costantemente lo stato di diritto e il popolo Chin è soggetto a lavori forzati, uccisioni extragiudiziali, torture, arresti arbitrari, detenzioni illegali. Un trattamento che ha causato un esodo di massa di rifugiati fuggiti verso nazioni vicine o confinanti come l’India, la Thailandia e la Malesia, anche se così facendo possono andare incontro ad ulteriori torture, detenzione e perfino alla morte. Chi vuole attraversare il confine tra Birmania e India deve evitare la Assam Rifles, una forza paramilitare che sorveglia il confine tra India e Myanmar e che impedisce l’afflusso dei rifugiati. Narendra Modi, primo ministro indiano, continua nella sua linea d’azione e politica anti-rifugiati, inutilmente contraddetto dal primo ministro dello stato del Mizoram, Zoramthanga, favorevole invece ad adottare un approccio radicalmente diverso.

Gli abitanti dello stato del Mizoram e del Chin fanno parte dello stesso gruppo etnico degli Zo, un grande insieme di popoli tibeto-birmani imparentati tra di loro. Questa dispersione attraverso le frontiere internazionali è il risultato di una politica coloniale britannica che tracciò i confini delle terre in India, Birmania e Bangladesh su basi politiche piuttosto che etniche. Facciasmo alcune domande a Bawi Hlei Hu collegato da Nuova Delhi.

Ci racconti quali sono i motivi della prima grande emigrazione ed in quale anno si è verificato l’esodo Chin dal Myanmar.
Nel 1988, durante le manifestazioni per la democrazia, migliaia di persone sono state uccise. I Chin venivano discriminati socialmente, economicamente, etnicamente e religiosamente e per questo motivo in migliaia sono fuggiti verso altri paesi tra il 1988 e il 1998.

In quali aree dell’India si concentrano maggiormente la comunità e i rifugiati Chin e qual è il loro numero?
Le comunità Chin sono concentrate principalmente nello stato nordorientale di Mizoram, confinante con lo stato del Chin, e 5000 rifugiati, registrati presso l’UNHCR, vivono attualmente a Nuova Delhi.

Com’è oggi la situazione di un rifugiato Chin a Nuova Delhi? Avete subito violenze e discriminazioni in India da parte delle forze di polizia, delle istituzioni e della popolazione locale?
Senza alcun riconoscimento formale come rifugiati, la comunità Chin di Delhi è costretta ad affrontare numerose sfide. Poiché il loro aspetto è diverso da quello della popolazione locale, i Chin sono facilmente oggetto di discriminazione in quanto stranieri. Sono etichettati come Nepali e Chinki, un insulto indirizzato alle persone con tratti asiatici-orientali, comprese le etnie del nord-est dell’India e del Nepal imparentate con i tibetani e i birmani.
L’incapacità di molti rifugiati Chin di comunicare in inglese o in hindi li sottopone anche a pregiudizi e difficoltà quotidiane. Le donne, in particolare, sono vulnerabili e subiscono numerose aggressioni e molestie. I loro figli hanno difficoltà ad essere ammessi nelle scuole in quanto classificati come stranieri e sottoposti a tassazioni più alte rispetto alla popolazione locale.

Dal 2016 si sono registrati casi in cui il certificato d’identità di rifugiato dell’UNHCR è stato ritirato e non rinnovato ad alcuni Chin con la motivazione che sarebbe stato sicuro tornare in Myanmar. Com’è attualmente la situazione?
È stato un incubo per i rifugiati Chin quando nel 2018 l’UNHCR ha deciso di abolire lo status di rifugiato, con la motivazione che il clima politico in Myanmar si era stabilizzato ed era sicuro tornare a casa. Io non ritengo che tutt’ora nel mio paese vi sia una situazione tranquilla tanto da farvi ritorno. Non esiste alcun rispetto dei diritti umani, nessuna stampa indipendente, nessuna libertà di parola, di associazione, di credo e di religione. Per esempio in Malesia, dopo che il loro status di rifugiato non viene rinnovato, sono costretti a corrompere la polizia in quanto sono «ufficialmente» riconosciuti come immigrati illegali, privi di documenti. Non sono accettati in cliniche, ospedali e vivono in un costante timore di essere arrestati. Alcuni di loro scappano nella giungla per non essere raggiunti dalla polizia ed evitare le retate.