Il 1997 è stato l’anno europeo contro il razzismo e la xenofobia. Progetti, dibattiti, convegni, incontri rivolti a giovani e adulti per spiegare la nuova Italia: multiculturale, multireligiosa, multilingue. In una parola, plurale. Oltre vent’anni dopo dobbiamo tristemente ammettere che i semi gettati allora non hanno dato il frutto sperato: l’Italia è ancora un paese dove contano le differenze, pesano le storie familiari, definiscono opportunità e possibilità il colore della pelle e la religione professata. Ciò anche in un contesto dove l’identità religiosa è di fatto più culturale che vissuta con attiva partecipazione e convinzione: eppure quando si tratta dell’islam, la religione torna a contare.
È indubbio che questa identità religiosa ha, negli ultimi decenni, catalizzato l’interesse di studiosi, cronisti, amministratori pubblici. Non altrettanta attenzione è stata dedicata ad altre appartenenze religiose, espresse da comunità presenti da secoli sul territorio nazionale (gli ebrei, i valdesi), oppure considerate figlie di una società inserita in fenomeni di contaminazione globali (buddismo, induismo) e dinamiche multiculturali (sikhismo, pentecostalismo).

DIVERSE RICERCHE, negli anni, hanno evidenziato quanto poco nello scenario italiano si conoscano le diverse proposte religiose, e quanto ci si basi su veri e propri stereotipi. Ancor di meno si conosce quell’islam su cui in molti negli anni hanno detto, scritto, gridato. La relazione con la religione di Maometto attraversa l’Italia da secoli, ma la memoria storica (e le competenze culturali) spesso vacillano di fronte ad essa. Inoltre, i media analogici e digitali spiegano tutto il loro potere proprio di fronte ai temi dell’islamofobia e del razzismo. E spesso lo fanno in modo parziale, cedendo a pregiudizi e retoriche superate da tempo nella realtà.
Il volume Islamofobia e razzismo. Media, discorsi pubblici e immaginario nella decostruzione dell’altro, curato da Gabriele Proglio (Edizioni SEB27, pp. 208, euro 16, prefazione Federico Falloppa), è un valido contributo per rileggere temi e contenuti di una relazione che mediaticamente è quasi sempre presentata come difficile, foriera di conseguenze negative, incompatibile con il contesto socio-culturale italiano. Eppure da Mazzara del Vallo alla Darsena di Genova sono molteplici i segni sul territorio italiano che raccontano di come la storia patria abbia (anche) avuto positivamente a che fare con uomini e donne che si definivano musulmani. Segni che son diventati parte della nostra quotidianità e come tali hanno assunto un’aura di plausibilità e di ammissibilità. Ed è proprio questo uno degli elementi del dibattito su (e raramente con) l’islam: di quale islam ci fidiamo e a quale siamo disposti a dare consenso?

QUESITI PARADOSSALI, visto che del cattolicesimo raramente ci chiediamo se sia più accettabile quello annacquato nella sola identità culturale o quello «fai da te» (e quindi lontano da molte indicazioni della dottrina, ad esempio sulla morale sessuale o sui comportamenti legali) o quello dei tradizionalisti, ultra-ortodossi che vedono nel rito pre-conciliare l’unico reale riferimento. Eppure tale pluralismo di possibilità non è concesso all’islam, che viene descritto come monolitico e impermeabile a quelle che son le diverse istanze della contemporaneità, compresa quella dell’ateismo. Tuttavia questa appartenenza religiosa non è un unicuum, da presentare e categorizzare fra la sua parte buona e accettabile e quella considerata meno integrabile nello scenario italiano ed europeo. E ciò non solo per le due grandi divisioni che lo caratterizzano o per le scuole di interpretazione coranica, ma anche e soprattutto per come i singoli individui interpretano il rapporto con la religione. O ancora, per come tale interpretazione avviene in contesti non musulmani. Dove occorre la fede del singolo può essere mal tollerata o talora esclusivamente appiattita sugli stereotipi dominanti, come è il caso del fondamentalismo islamico. Attenzione però a non cadere nell’errore opposto, tipico di una visione buonista e priva di elementi critici.

LA RELAZIONE con l’alterità richiede apprendimenti reciproci, anche attraverso la decostruzione di stereotipi. E l’islam di stereotipi ne ha collezionati molti nel tempo, anche rafforzati con il contributo dei media, per esempio il cinema. Questi aspetti sono richiamati nel volume, proprio per chiarire ai lettori come islamofobia e razzismo nei confronti della sfaccettata e articolata realtà musulmana non siano questioni recenti. Ciò non consola, anzi rammarica. Invita (o dovrebbe invitare) a una profonda riflessione.
I diversi capitoli del volume accompagnano in un viaggio alla decostruzione dei falsi miti sull’islam fra la storia e la contemporaneità. L’appartenenza a discipline diverse degli autori e in prevalenza autrici e quindi le prospettive teoriche e di ricerca con cui guardano ai numerosi risvolti del nesso fra islam e realtà italiane rappresenta un punto di forza del volume. Infatti, dare profondità a discorsi pubblici e a immaginari che son appiattiti sulla realtà migratoria attuale e/o su alcuni attentati terroristici si qualifica come una opportunità formativa e una occasione per offrire una contro-narrazione rispetto a quanto oggi connota il dibattito mainstream.

UN’OPPORTUNITÀ che avrebbe potuto essere rafforzata con uno sguardo da chi vive dal di dentro tale realtà e osserva la multireligiosa e multiculturale società italiana dal punto di vista di chi vi appartiene e allo stesso tempo ne è tollerato. Voci di professionisti e imprenditori, studenti e casalinghe, giovani e adulti, ormai italiani o in attesa di diventarlo, ma ormai radicati in realtà socio economiche, di cui conoscono dinamiche e processi, talora perché vissuti direttamente in termini di declassamento professionale, stereotipi e discriminazioni.
Al di là dell’analisi dei discorsi e delle narrazioni, è tempo di rovesciare il banco è presentare l’altra faccia: uomini e donne che rappresentano l’islam quotidiano, che danno vita – giorno dopo giorno – all’islam italiano incastonato in una realtà che sa reagire all’islamofobia partendo dalle relazioni di vicinato, dalla formazione a scuola, dal successo dell’inclusione. È tempo, quindi, dopo le analisi, di raccontare anche l’altra parte della storia. In tal senso sarebbe il benvenuto un secondo volume di questo percorso di formazione e di aggiornamento della comprensione della realtà italiana che SEB27 ha avviato.