La commissione Politiche Europee del Senato ha bocciato il riconoscimento dei diritti dei figli di coppie omosessuali e il certificato europeo di filiazione che garantirebbe questo riconoscimento in tutti i paesi. La decisione è criticata come negazione dei «diritti dei figli», ma in realtà mira alla conferma della negazione legale di un tipo di genitorialità e di famiglia.

La questione di fondo è questa: possono essere genitori e costituire una famiglia persone singole (donne infertili e uomini) e coppie omosessuali? O possono accedere a questa condizione (che sarebbe riduttivo chiamare diritto) solo le coppie eterosessuali (e le donne singole fertili) come la legge italiana prescrive?

La legge è impropriamente restrittiva perché non tiene conto del fondamento vero della genitorialità che è la relazione di desiderio tra genitore/i e figlio/i. Per essere genitori e figli è necessario un reciproco riconoscimento. Questo riconoscimento non si costruisce sul piano dei bisogni materiali (il cui appagamento è certamente necessario, ma niente affatto sufficiente). Si costruisce sul piano dell’intesa di emozioni, sentimenti e pensieri tra soggetti desideranti. L’intesa, che include il conflitto, l’incomprensione e un lavoro continuo di riposizionamento, da parte di entrambe le parti, del proprio punto di vista, lega due generazioni tra di loro e facendo abitare il presente dal passato e dal futuro, amplia e fa respirare nel campo del infinito lo spazio della vita.

I bambini nascono desideranti, ma le persone che fanno loro da genitori, perché li hanno procreati o adottati, possono essere sofferenti, inibiti nel loro desiderio se la loro esistenza è stata ferita. La genitorialità richiede una capacità di desiderare l’alterità -in modo insieme infantile e adulto, sessuale e sublimato – che anche quando è stata delusa dalle circostanze della realtà, resta viva come potenzialità, trova nel bambino che si affaccia alla vita lo spazio di una nuova apertura. Su questo piano non c’è distinzione tra eterosessuali e omosessuali.

La distinzione non è resa necessaria neppure dall’esigenza dell’accesso del bambino alla differenza dei sessi (la madre delle differenze) che richiederebbe, si presume, un genitore di sesso maschile e un genitore di sesso femminile.

Le relazioni erotiche vere, tra soggetti dello stesso sesso o di sesso opposto, e anche il corpo erotico della donna e dell’uomo, incrociano tra di loro tutte le correnti del desiderio: omosessuale, eterosessuale, femminile, maschile. La differenza dei sessi vive in uno spazio esteso, ben oltre l’eterosessualità.

Lo Stato deve intervenire solo in caso di manifesto grave fallimento della genitorialità (perché i bambini non sono proprietà dei genitori) e per farlo con giustizia non deve definire la funzione genitoriale in un modo dogmatico che presta attenzione alla forma delle convenzioni e trascura la sostanza delle relazioni erotiche. I disfunzionamenti dei genitori non hanno di per sé nulla a che fare con la loro inclinazione sessuale. Sono, in parte, inevitabili e diventano condizionanti e inibenti per lo sviluppo psichico dei figli quando sono prodotti dall’infiltrazione delle relazioni genitoriali di desiderio da costellazioni fantasmatiche inconsce che ispirano modelli di relazioni sessuali androgine, indifferenzianti. L’infiltrazione riguarda ugualmente omosessuali e eterosessuali, il che testimonia che le difficoltà della genitorialità non vengono da una delle due correnti dell’eros, piuttosto che dall’altra.

La «gravidanza surrogata» va considerata indipendentemente dall’inclinazione sessuale di coloro che ne fanno uso. Come pure dal tipo di genitorialità che ne può derivare: la valutazione preventiva è ardua e può diventare morale. Il giudizio deve essere dato sulla prassi: implica uno sfruttamento del corpo della donna.