Una Relazione senza politica, così Salvina Rissa (il manifesto, 25 gennaio) ha definito la Relazione 2016 sulle droghe.

C’è però un altro aspetto da esaminare: se la struttura della Relazione, in termini di trasparenza dei dati offerti, risponda alla sua finalità istituzionale, di strumento utile a valutare gli esiti delle strategie intraprese e a operare le scelte per il futuro. Si osservi che, ancora una volta, la struttura della Relazione non rispecchia i «pilastri» su cui si reggono le politiche.

Per meglio dire: mentre c’è una parte sui pilastri sociosanitari (al cui interno trova finalmente ampio spazio la riduzione del danno), paradossalmente il pilastro penale-sanzionatorio (che rimane quello principale) non è citato e trattato come tale.

Ovviamente i dati sulle attività di repressione ci sono, ma disseminati fra «l’offerta» e la «domanda» di sostanze, sì da privare il lettore di un immediato quadro d’insieme dell’applicazione della legge penale. Così le segnalazioni al Prefetto per il consumo personale sono curiosamente elencate nella «domanda» di sostanze, quasi fosse una neutra indagine epidemiologica sui trend di consumo, e non invece un settore di rilievo dell’attività repressiva. Nel 2015 le persone segnalate sono state 31.317, mentre le sanzioni amministrative erogate assommano all’imponente cifra di 13.500.

Ovviamente le segnalazioni sono di più (32.478, una persona può essere fermata più volte dalle forze dell’ordine), ma per avere questo dato bisogna ricorrere al Settimo Libro Bianco redatto da alcune Ong (www.fuoriluogo.it), che peraltro offre una chiara e sintetica visione dell’applicazione di quell’articolo di legge (il 75) con minore spreco di carta.

Da notare: di queste 32.478 segnalazioni, ben 26.400 sono per la sostanza a minor rischio, la cannabis. Tanto sforzo per poco, si potrebbe dire.

La scelta di non mettere a fuoco il pilastro penale come tale ha conseguenze anche nel calcolo economico: sappiamo che il mercato illegale delle droghe principali incide per 14 miliardi di euro, ma non sappiamo i costi del sistema di contrasto, né come questi si distribuiscono fra penale e sociale.

Veniamo alle denunce per spaccio, traffico, associazione finalizzata al traffico (73 e 74): nonostante il 6% di diminuzione rispetto al 2014, nel 2015 si registrano 25.420 denunce per spaccio, e 2286 per associazione nel traffico (diminuite del 20%).

Questi denunciati, in stragrande maggioranza, sono finiti agli arresti (19.524). Pochi trafficanti dunque, e un esercito di spacciatori presumibilmente piccoli. Dico piccoli, pensando alle indicazioni emerse dalle ricerche sul «peso criminale» delle persone in carcere per droga, condotte qualche anno fa in Toscana; e dico presumibilmente, perché la Relazione non permette di sapere quanti di questi denunciati sia stato condannato per l’ipotesi di spaccio «di lieve entità».

Non avere un quadro esauriente circa il profilo degli autori di reati di droga che affollano le nostre prigioni è un grave limite della Relazione: specie se si considera che il proposito di riservare il carcere ai reati più gravi è stato evocato più volte all’Assemblea Generale Onu dell’aprile scorso, ripreso con vigore dal ministro Orlando.

Infine, il dato sulle misure alternative: la maggioranza è in affidamento speciale (il 44% in comunità), ma alcuni, circa un quarto, sono affidati in prova ai SerD. Si spera che questi ultimi aumentino, come auspicato dagli Stati Generali della Giustizia nel 2015.

Che fare? Il confronto del Dipartimento Antidroga con le Ong ha prodotto miglioramenti su alcuni contenuti. Occorre ora un salto, per adeguare la Relazione alle sue finalità.