Figura carismatica tra le numerose scrittrici e gli scrittori in lingua tedesca della Germania multiculturale, la turco-tedesca Emine Sevgi Özdamar, la cui ricca produzione si inscrive a pieno titolo nella migliore letteratura tedesca tout court, non è ancora nota in Italia come meriterebbe. Di lei sono comparsi in italiano, finora, un romanzo (Il ponte del Corno d’oro, Ponte alle Grazie), una raccolta di racconti (La lingua di mia madre, Palomar) e non molto altro. Benissimo ha fatto dunque Stefania Sbarra a raccogliere in un volume due dei più significativi racconti di Özdamar, che ha finemente tradotto, coinvolgendo i suoi allievi dell’Università Ca’ Foscari di Venezia: Il cortile nello specchio. Bicicletta sul ghiaccio (Cafoscarina, testo originale a fronte, pp. 155, euro 15).

IL PRIMO DEI DUE RACCONTI non può non evocare il paradigma narrativo incentrato sull’osservazione di sconosciuti in uno spazio urbano inquadrato da una finestra, basti pensare a La finestra sul cortile di Hitchcock o al racconto berlinese di Hoffmann La finestra d’angolo del cugino. Özdamar compie qualcosa che va al di là: allo sguardo dalla finestra aggiunge un gioco di specchi che comporta il dare le spalle a ciò che sta fuori, privilegiandone la visione indiretta, doppiamente inquadrata dalla finestra e dallo specchio. La giovane protagonista – che si trova in Germania, a Düsseldorf – descrive le tante scene che si susseguono nello specchio della cucina parlando al telefono con sua madre nella lontana Istanbul, l’origine. Le vite degli altri, degli estranei prossimi, vengono commentate nel paradossale annullamento della distanza dagli interlocutori intimi ma lontani (dopo la morte della madre, il poeta Can Yücel), tramite il telefono.
Questa regia dello sguardo, che organizza un vero e proprio teatro della visione (si ricordi che Özdamar è donna di teatro), mette in scena la parola poetica. Se nel suo saggio Sugli specchi Umberto Eco scriveva che l’immagine riflessa è quasi segno, «un inizio di semiosi», la combinazione specchio-telefono dona alle immagini riflesse, descritte e interpretate dall’io narrante, una sorta di ipersemiosi. Su quel singolare impianto teatrale, infatti, la narrazione innesta un patchwork associativo, affine a una composizione musicale, che dischiude infinite possibilità di significato. Una fulminante capacità di osservazione consente a Özdamar di prodigare microstorie quasi a ogni riga. «La zingara che vendeva sempre fiori all’inizio del vicolo lungo e ripido e si arrotolava sottili sigarette, una dopo l’altra, e se le fumava fino in fondo, tanto che per terra non restavano mozziconi». Lo specchio diviene quasi specchio parlante come quello delle fiabe.
Ma il racconto brulicante di vite, storie e destini nei quali il piccolo e il grande, il vicino e il lontano, la poesia e l’umorismo, memoria e presente si intrecciano in un trascinante gioco di prospettive, è interamente percorso dal tema della morte.

DI TUTTI I PERSONAGGI osservati nel racconto la protagonista racconta alla madre lontana la vita, ma poi anche la morte: la macellaia, il corniciaio, la vecchia suora, «tutti i morti abitano in quello specchio». Vi abitano, lo specchio è soglia. Non a caso la vecchia suora che muore nella casa all’altro lato del cortile stava leggendo e rileggendo Alice nel paese delle meraviglie: è un rinvio all’idea che gli specchi – gli specchi trasformati in testo della memoria – si attraversano, dando accesso a mondi assai diversi. «Ero felice allo specchio perché ero in più luoghi allo stesso tempo». Lo specchio è immagine della migrazione letteraria, della libertà dall’idea repressiva di identità, al tempo stesso è teatro di un dialogo coi morti, è quella memoria che è l’unico bagaglio di chi vive migrando.

LA PUBBLICAZIONE de Il cortile nello specchio nasce nel quadro del festival internazionale di letteratura Incroci di civiltà organizzato dall’Università Ca’ Foscari di Venezia. La manifestazione, alla quale prenderanno parte oltre venti grandi scrittori di tutto il mondo, si svolgerà dal 4 al 7 aprile a Venezia. Emine Sevgi Özdamar dialogherà con la curatrice del volume Stefania Sbarra e con Sandra Paoli il 6 aprile nell’Auditorium S. Margherita di Ca’ Foscari.
Sempre in questi giorni va in libreria, di Sandra Paoli, L’occidente transculturale al femminile. Emine Sevgi Özdamar, Rita Ciresi e Yasemin Samdereli (Mimesis, pp. 209, euro 20). Una scrittrice e una regista turco-tedesche, un’autrice italo-americana che vivono da donne il superamento dei confini, la dimensione della minoranza culturale, la necessità di esprimersi artisticamente in una lingua che non era quella delle proprie origini. Paoli fa emergere in modo molto convincente le strategie di una nuova creatività transculturale femminile che lavora sul corpo, la voce, l’innovazione linguistica e l’ironia, una creatività che destabilizza le ideologie identitarie delle sicurezze fobiche. E molto opportunamente il libro è corredato di dense interviste dell’autrice a Ciresi, Samdereli e alla stessa Özdamar.