Spesso, in tempi di rivoluzione si confonde l’atto con l’effetto e non ci si rassegna all’evidenza che il risultato è solo la trasformazione del potere. Allontanata da Vogue Uk dopo oltre 25 anni passati alla direzione moda, Lucinda Chambers ha rilasciato un’intervista al vetriolo al sito specializzato Vestoj, in cui afferma che «la moda ti mastica e poi ti butta via». E, in quello che appare uno sfogo rancoroso, denuncia le pecche di un sistema che lei stessa ha contribuito a creare. Inizia, infatti, vantandosi, senza farsi sfiorare dall’idea di aver agito in conflitto d’interessi, che pur essendo la responsabile della moda di un giornale ha lavorato come stylist per molti anni per Marni a stretto contatto con Consuelo Castiglioni, la fondatrice allontanata lo scorso anno dalla nuova proprietà. Continua scaricando su Anna Wintour, potente direttrice di Vogue Usa, la responsabilità di aver indicato al nuovo proprietario Renzo Rosso il giovane direttore creativo che, a suo dire, non funziona («la sfilata era spaventosa. Mi hanno detto che il costo per produrre gli abiti è stato di due volte e mezzo superiore rispetto a quello che spendevamo noi, e ha venduto il cinquanta per cento in meno», sentenzia). Infine, ritorna sul sistema dell’editoria patinata e ammette che «è un peccato che le riviste abbiano perso l’autorità che avevano una volta. Hanno smesso di essere utili».

Sono molti anni che la moda non vede veri cambiamenti all’interno del suo sistema di potere: cambiano gli stilisti e gli amministratori delegati, ma il potere vero è sempre nelle mani della finanza e del mercato. Affiancandosi e dipendendo acriticamente da questo sistema, l’industria editoriale ne ha mutuato i caratteri. Così, quando il mese scorso Alexandra Shulman ha lasciato la direzione dell’edizione inglese di Vogue che aveva retto per 25 anni e il nuovo direttore Edward Enninful, con un passato a Vogue Usa e a W, ha formato la sua squadra, la Chambers che aveva governato la moda con la Shulman ha perso il posto proprio a causa della dura legge del mercato che ha contribuito a scrivere. Per una strana coincidenza, l’abbandono della Shulman è arrivato subito dopo la morte di Franca Sozzani, direttrice dell’edizione italiana di Vogue per 28 anni. Dove il nuovo direttore, Emanuele Farneti, ha formato la sua squadra tenendo però presente le leggi sul lavoro italiano che hanno mitigato gli effetti dello spoil system. E si dice che a breve anche la Wintour deciderà di lasciare la direzione di Vogue America, dove siede da ormai 29 anni, e si attendono terremoti ancora più devastanti.

Queste successioni, che dovrebbero apparire nella normalità delle cose, creano ansia primo perché chi affianca il potere per tanti anni ne costruisce uno proprio che vede venir meno in mezz’ora, e poi perché il settore soffre una crisi la cui causa è solo in parte dovuta ai media digitali perché molto dipende dall’insipienza con cui, sui media cartacei, si continuano a proporre ricette usurate perfino in una casa editrice leader come Condé Nast. Un difetto che si nota anche nelle edizioni già mandate in edicola dai direttori di nuova generazione.
Comunque, visto che, grazie a quanto dice la Chambers, lo scontro appare di natura generazionale (quarantenni vs sessantenni) non sarebbe male rileggersi quello che William Burroughs scrive in Ragazzi selvaggi: «I giovani sono una razza aliena. Non ci sostituiranno con una rivoluzione. Ci dimenticheranno e ci ignoreranno fuori d’esistenza».

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