Negli anni sessanta Jacqueline Risset era per noi la ragazza «Tel Quel». Philippe Sollers, che ne fu il direttore dal 1960 fino al 1982, ricorda la giovane Jacqueline «…simple, immédiate, ironique, très compliquée et très cultivée». Impersonava perfettamente quel momento magico della cultura francese, ricca di proposte, sofisticate, imperative, da cui attingere golosamente, prendere a piene mani. La incontrai nella sua casa al Largo dei Fiorentini. In salotto c’era un pianoforte aperto e un gatto che correva sulla tastiera. Alcune amiche che dirigevano una rivista femminista ci chiesero un titolo per il numero in preparazione: come pensavamo la donna, tragica o ironica? Io dissi tragica e lei ironica. Vinse lei, anche perché sosteneva di persona quella fiera investitura, a cominciare dal caschetto biondo che si muoveva energico e luminoso in accordo alle sue entusiaste convinzioni. Ginevra Bompiani ricorda i gatti amati che «danno figura al corpo spirituale di Jacqueline, al suo accento morbido, ronronante, vivo e calmo … Ascoltarla in italiano o in francese è quasi lo stesso, un accento caldo, invogliante». Un accento più forte della lingua stessa, di qualsiasi lingua. «Jacqueline canta e la lingua si aggiunge».
Sono trascorsi sei anni dalla sua scomparsa nel settembre del 2014, e queste pagine in memoria sono ancora emozionate testimonianze della sua vibrante presenza: Avanguardia a più voci. Scritti per Jacqueline Risset, a cura di Umberto Todini, Andrea Cortellessa e Massimiliano Tortora, Edizioni di Storia e Letteratura («Atti e Rendiconti della Fondazione Camillo Caetani, Roma», pp. XXXII-251, € 24,00). Una sorta di Spoon River rovesciata, circa 56 epigrafi che dicono di lei, le offrono omaggi: ricordi, profili volatili di incontri indimenticabili quando lei attraversò leggera, rapida, intensa, la loro vita. Misurano oggi la nuova distanza. «Mia cara Jacqueline, / Dove sei? Va tutto come vuoi? – inizia accorata Julia Kristeva – (…) Hai l’aria di planare in una rêverie che non dorme (…) È la formula di Guillaume de Poitiers, in esergo alla tua raccolta L’Amour de loin, che ti ritrae per davvero: tu “inventi dormendo su un cavallo”». E ancora François Vitrani: «Era viva la spirale dell’amicizia con Jacqueline Risset, ed è viva ancora, e continua. Come non pensare a lei, come non ripensarla, spesso? Come non leggere e tornare ai suoi libri? Alle poesie, ai saggi, alle traduzioni?».
Da queste dolenti voci di amici abbandonati che furono incantati dalla generosità e dalla pienezza dei suoi doni, si comprende a malapena quanto lavoro sia stato fatto dalla dormiente sognatrice che all’Arte rispondeva con l’Arte. Amica di Fellini, Berio, Bonnefoy , Lacan, studiosa di Proust e Baudelaire, Dante e Leopardi, Gadda e De Chirico … Difficile parlare di Jacqueline nel segno dell’assenza: «… lei era la vita stessa, accogliente, calorosa (…), presente nel mondo attraverso il sorriso o l’indignazione». (Viviane Dutaut). Ricorriamo a Marinella Galateria per una sintesi a uso di chi non l’abbia conosciuta: «Jacqueline Risset ha traghettato la cultura italiana e francese con un unico movimento, con la sua attività di docenza e scrivendo di Proust e di Fellini, traducendo Machiavelli e il poeta Ponge: “tradurre è disfare il tessuto”, diceva: ma è anche un’anamnesi, memoria…».
Come professore ordinario di Letteratura francese a Roma Tre aveva rianimato il piccolo gruppo di francesiste con meravigliose conferenze a cui accorrevamo tutti. Insieme a una collega più di noi scientificamente zelante avevamo preparato un piano didattico comune, un po’ odioso, fatto di frammenti di semiotica e strutturalismo, e insieme lo presentammo ai nostri studenti. Leggo oggi con piacere che neanche lei ne era convinta. Ha scritto in La letteratura e il suo doppio. Sul metodo critico di Giovanni Macchia (1991): «La vita – il mondo – non spiegano il testo (non lo racchiudono); la critica ha quindi per funzione di indicare i rapporti non depositati ma trasversali, attraversanti, attivi. Il testo (la scena illuminata) scopre il suo reale contesto, assai vasto e differenziato … La lettura scava il legame tra testo e pre-testo, facendo a volte apparire la stessa vita come elaborazione di testi futuri, secondo una linea che prende di sbieco l’anteriorità causale, già fissata». Da qui prende le mosse Cortellessa per incrociare il singolare giudizio di Jacqueline su Gadda e dopo un lungo circuito tornare su di lei, la guerriera che corteggia l’errore, l’incompiutezza, la violenza della letteratura a dispetto della filosofia. Giorgio Patrizi nel suo «Gadda secondo Risset» anticipa: «il “naturalismo” (gaddiano) … fallisce…; la figura che regna sull’opera di Gadda è non già la metafora ma la metonimia. Le pareti della monade sono diventate porose, i sostantivi si svuotano a favore dei termini di qualificazione che indicano la situazione dell’oggetto nell’universo. Si ha, insomma, una monadologia senza monadi, ed è proprio questa, forse, l’operazione della scrittura» (Risset).
Quando la incontravo casualmente a Trastevere, dove abitò a lungo, mi informava di piccoli guai domestici: Umberto malato, il gatto in crisi, la casa da vendere … Ma l’ultima volta era cupa, e disse: «Dante mi uccide». Il suo giovane Dante francese, liberato dal roccioso manto natio, procede di canto in canto, da avventura ad avventura, agile, rapido, vittorioso come conviene a un eroe di oggi e di sempre, nobilmente, mai dimentico della sua alta missione. Non osavo chiederne in giro tra gli studiosi, chiusi in un vago silenzio. Mi conforta leggere il parere di Citati: «Jacqueline Risset ha conservato tutta la forza interna del testo: l’acume visivo e sensuale, la solennità, la luce, la precisione intellettuale, la mutevolezza, la memorabilità epigrafica, la gloria. Come nessuno, ha compreso il ritmo di Dante: la demoniaca velocità, la tensione sovrumana che corre dalla prima all’ultima sillaba della Commedia, come se Dante avesse scritto senza pause e intenzioni, in una sola interminabile notte di lucidità e di delirio».
Ma quale sfida ossessionava Jacqueline, e la spingeva a rilanciare la mortale fatica di tradurre anche le Rime petrose? Arrestare il buio, non scivolare ancora nel grande spazio nero, quello che non si sa, che non è l’ignoranza ma quel che non si conosce. Portare Dante con sé come talismano? «Mais je suis prête», ha scritto infine con la sua acuta intelligenza della luce e dell’ombra.
Nell’impossibilità di informare della intera bibliografia, ricordo quanto è uscito di recente presso la casa editrice Artemide di Roma, che pubblica la collana «Proteo/Risset»: Marina Galletti e Sara Svolacchia hanno curato due volumi di saggi di Jacqueline Risset, Georges Bataille (2018) e Proust in Progress, 1971-2015 (2020).