Chissà perché avevano deciso di chiamare così quella via. E perché una parola sola? Mille lire sono due parole. Betty e i ragazzi randagi di Mirafiori Sud, frontiera estrema della periferia torinese, almeno una volta se lo saranno chiesti. Ma poi, chissenefrega. In via Domenico Millelire, ufficiale della Regia Marina Sarda, i ragazzi randagi, i figli dei «terroni», misurano la vita con il metro del denaro. Non la paga di un padre, guadagnata sputando fatica in fabbrica; non gli spiccioli racimolati da una madre facendo lavoretti a domicilio; tantomeno lo stipendio modesto di Verdiana e delle altre assistenti sociali del Centro d’incontro.

Periferia
Per i ragazzi randagi, le mille lire possono diventare cinquemila, cinquantamila, centomila, basta gestire un giro di marchette, spacciare eroina e coca, rubare un’auto e ‘trasformarla’, svaligiare un appartamento. Quei soldi servono a sgasare su una moto tra i casermoni e i cumuli di detriti; a esibire stivaletti e camicia firmati; a comprarti l’illusione di essere diverso dagli altri. Betty, emarginata in mezzo agli emarginati, prova a scappare, unico compagno il mangianastri rosso. Scappa da casa, dalle gabbie delle strutture protette, dalle violenze cui il suo mondo vorrebbe consegnarla. Scappa, e ogni volta torna da Verdiana, chiedendo aiuto senza riuscire a chiederlo.

Reazioni scomposte
Mirafiori Sud è lo scenario di un film, La ragazza di via Millelire. E anche se nulla impedirebbe di credere che sia stato girato oggi, così non è. Gianni Serra, il regista, lo firmò esattamente quarant’anni fa per Rai 2, scatenando una tempesta che da Torino raggiunse il Festival di Venezia e i corridoi della politica. Buona parte dei critici lo fece a pezzi: «Il film più becero dell’anno», Alberto Farassino, la Repubblica; «Patrocinato senza rossore dal comune di Torino… gronda fango d’ogni parte per colpa di una sceneggiatura e di una regia compiaciute del Brutto e dello Sporco fino al cinismo», Giovanni Grazzini, Corriere della Sera; «Il film è un cumulo di orrori, provoca solo disgusto», Gianluigi Rondi, Il Tempo. Una manciata di pareri contrari lo difese. Sergio Crosati, Il resto del Carlino, «Il meno che si possa dire di un’opera sgradevolissima (ma che vuole esserlo) è che gronda coraggio»; Roberto Silvestri, Il manifesto, «Fra strepiti e clamori, presentata a Venezia la prima eroina punk»; «In un film che gela l’anima, Serra non va in cerca del pittoresco sottoproletario, non rassicura, non si arrende al pianto, al lamento, alla pietà», Mino Argentieri, Rinascita.

Alla Mostra di Venezia
Umberto Eco e il critico americano Andrew Morris, membri della giuria del Festival di Venezia, si schierarono per il Leone d’oro. La politica approfittò a piene mani dell’occasione. L’allora sindaco di Torino Diego Novelli venne accusato in consiglio comunale di aver deturpato l’immagine della città e di aver preso soldi sottobanco. Bettino Craxi si servì del clamore negativo che il film aveva suscitato e silurò il direttore di Rai 2 Massimo Fichera, socialista troppo anomalo. Il film passò fugacemente in sala, dove l’accoglienza del pubblico fu ben diversa.

Al cinema
Gli spettatori che affollarono il Cristallo e il Lirico di Milano tributarono ai centodieci minuti di Serra un lunghissimo applauso. Morando Morandini, sul quotidiano Il Giorno, constatò «È un’altra prova che un pubblico di spettatori è spesso più intelligente di un pubblico di critici». Analoga accoglienza, il 29 ottobre, gli riservò, pur fra tensioni e polemiche, la platea torinese del cinema Massimo, quattromila persone che resero necessarie due proiezioni.

Lo stesso giorno, tre anni dopo, Rai 2, ormai lontana la tempesta, trasmise La ragazza di via Millelire alle 22. 45, introdotto da Tullio Kezich «In questo squarcio di vita tratto dalla realtà sociale della Torino degli immigrati, la via è uno dei simboli del quartiere Mirafiori Sud, e fa sembrare Rocco e i suoi fratelli un cartone animato… Non sarà gradevole il discorso di Gianni Serra, ma non è certo inutile. Anche questo è cinema, anche questa è televisione».

Ottobre
A distanza di quarant’anni, Rai Teche ha recuperato e digitalizzato il film. L’anteprima era in cartellone al diciannovesimo Glocal Film Festival di Torino, cancellato dall’onda del Covid19. Un evento speciale, che suo il curatore Alessandro Gaido considera soltanto rimandato «Il festival tornerà in ottobre, e riproporremo La ragazza di via Millelire al cinema Massimo nella stessa data della prima proiezione». Per quali ragioni il lavoro di Serra fu respinto con disprezzo e massacrato al punto da venir definito «letame»?

L’idea di un lungometraggio sugli adolescenti della periferia torinese, in concomitanza con il 1979 Anno Internazionale del Fanciullo, venne a Diego Novelli. Massimo Fichera accolse subito la proposta, e fu Ettore Scola, con il quale Novelli aveva scritto Trevico – Torino, viaggio nel Fiat Nam cinque anni prima, a suggerire il nome di Gianni Serra.

Novelli e Serra ebbero subito chiaro ciò che il film non doveva essere «Non un documentario, non una serie di servizi giornalistici, non cinema – verità, non una storia neorealistica, non -soprattutto- un’operazione propagandistica». A film finito, Novelli dichiarò «Serra ci ha offerto uno spezzone di Torino… Uno spezzone è un cuneo in verticale, duro, aspro, pesante, terribile ma reale». In fase preparatoria si sparse la voce che quel regista arrivato da Roma si era documentato girando ore e ore di materiale in via Artom e in via Millelire, sinonimi topografici di vergogna cittadina; che avrebbe raccontato una storia di droga, prostituzione, furti, stupri, servendosi di attori non professionisti, e che la protagonista sarebbe stata una ragazzina quattordicenne piccola e grassa; che il Comune avrebbe messo a disposizione strutture, servizi e luoghi dei set.

Censura
Ricorda Novelli «Dopo le prime indiscrezioni nacquero interpellanze e, cosa buffa, comitati spontanei per censurare il film prima ancora di girarlo». Uno spezzone è un cuneo in verticale, duro, aspro, pesante, terribile ma reale. Dice Gianni Serra «Il film fu fatto a pezzi perché non esistevano precedenti di questo genere. Mery per sempre, di Marco Risi, altrettanto crudo, arrivò una decina di anni dopo».

Paesaggio urbano
La ragazza di via Millelire piombò su Torino e sull’Italia con la volgarità di uno slang che mischiava accenti del Sud e accento piemontese: diofa (abbreviazione di dio faus, dio falso), picio (cretino), purpo (invertito), cago (strizza), playmerda (variante di playboy); con quegli adolescenti brutti e abbrutiti, ultimi dal primo giorno della loro esistenza; con un paesaggio urbano fatto di carcasse d’auto, lampioni e insegne in frantumi, prati mai stati verdi, strade sterrate ridotte a poltiglia dalla pioggia, androni e cortili di sporcizia e miseria; con l’inutile, esasperante tentativo tra Verdiana (una meravigliosa Maria Monti) e Betty (Oria Conforti) di offrire e di accettare amore.

Il regista arrivato da Roma aveva compreso che quel mondo si doveva descrivere mettendo da parte il catalogo delle buone intenzioni, della retorica, delle utopie salvifiche. Accettò la scommessa. Consegnando alla storia del cinema il suo cinico, disgustoso, becero, ripugnante film.