Nella tradizione popolare e rurale, la Quaresima incarna simbolicamente la vedova di Carnevale, come si evince dal breve frammento di una lamentazione funebre per la morte di Carnevale registrata sul campo a Marcianise (CE) nel 1972 da Roberto De Simone (1933): «Che Carnavale mò more/chiamate nu cunfessore/e faccimolo confessà/Che Carnavale mò more/lì…gioia sò/Carnavà si sapive ca murive/t’accerevo n’ata gallina/ lì…gioia sò». Una forma di canto ritualizzato cui partecipava tutta la comunità. Nonostante l’aggressione consumistica, il pensiero unico e omologante, la globalizzazione che ha annientato e rimosso molti riti connotati da una forte valenza simbolica e concettuale, i rituali legati alla Quaresima sopravvivono, resistono soprattutto in ambienti rurali e popolari dell’Italia e del Profondo Sud. Etimologicamente, Quaresima deriva dal latino ‘quadragesima dies’ e stabilisce il periodo di penitenza e astinenza di quaranta giorni a partire dal mercoledì delle Ceneri.

Rappresenta il tempo sacrale della purificazione del corpo e dell’anima. Il quaranta, infatti, è un numero emblematico presente nelle Sacre Scritture e indica ‘compiutezza’. È significante, tra l’altro, di un periodo di sofferenza e di attesa. Si possono citare, per esempio, i giorni del diluvio universale, i colpi di frusta per la flagellazione secondo la legge mosaica, le ore frapposte fra la morte di Gesù, ovvero il venerdì alle quindici, e la sua Resurrezione. Dal numero, deriva anche il sostantivo ‘quarantena’: il periodo di isolamento forzato per persone provenienti da aree infette e sospettate di essere state colpite da malattie infettive. L’antropologo e storico delle religioni Alfonso Maria di Nola (1926/1997) asserisce che «la Quaresima era dominata da una predicazione spesso mortificatoria e terrificante contenuta nei cosiddetti quaresimali, prediche all’aperto nelle chiese, dove si proclamava il pentimento, fino alla pratica ascetica e alla meditazione sulla morte e sulla vanità del mondo. Era quindi un’occasione in cui si accentrava il bisogno collettivo di rappresentare in forme giocose e drammatiche questo distacco e l’entrata in una fase lugubre e rattristante del ciclo annuale che sarebbe terminata soltanto con la Pasqua».

Nell’avellinese, durante il periodo quaresimale, i bambini portano in processione un fantoccio vestito di nero, raffigurante la Quaresima. Nell’area vesuviana, nell’hinterland napoletano e nell’intero entroterra campano, durante i quaranta giorni, tra il Carnevale e la Pasqua vengono appesi tra una casa e l’altra, oppure agli alberi, fantocci vestiti di nero, funerei sospesi in modo da oscillare. Talvolta, seduti su una sedia come se stessero su un’altalena, hanno le gambe divaricate e, alla sommità dell’arco formato dall’apertura, al posto del pube hanno applicato un limone, un’arancia o una patata, dove vengono conficcate sette penne di gallina. Di queste ultime, corrispondenti alle sette settimane del periodo quaresimale che scandiscono le sette settimane intercorrenti tra il mercoledì delle Ceneri e la domenica di Pasqua, ne viene tolta una ogni domenica di Quaresima, fino ad arrivare al giorno di Pasqua in cui viene tolta l’ultima penna. La patata o l’agrume conferiscono al fantoccio un significato magico-sessuale, definendone così il contenuto simbolico. Rappresentano, infatti, il sesso femminile; le sette penne conficcate in esso risultano essere una sorta di fattura o, comunque, un’interdizione al rapporto sessuale.

La tematica della privazione – sessuale, coreutica, musicale, alimentare – è un argomento assiduo dei quaranta giorni della Quaresima, la quale non è che l’inclusione da parte della chiesa cattolica di rituali precristiani connessi alla terra e alla semina. L’etnologo James Frazer (1854/1941) accosta la Quaresima a una lamentazione per Persefone che aveva luogo in Grecia durante un arco di tempo di quaranta giorni. Il rituale era connesso con la semina e si rifà a quello celebrato dalle donne greche che rappresentavano, con riti funebri, lamentazioni e astinenze varie, la discesa di Persefone nel mondo sotterraneo e il dolore di Demetra che poi veniva festeggiata al ritorno sulla terra. Lo scrittore latino Giulio Firmico Materno – vissuto intorno alla metà del IV secolo – nell’opera De errore profanarum religionum narra di un altro rituale associato alla semina, consistente nel condurre dalla campagna nelle città greche l’effigie di Proserpina per un periodo di quaranta giorni. Durante tale fase le donne greche piangevano e si lamentavano e alla fine di essa l’immagine veniva bruciata. Comparando altre conoscenze rituali precristiane, il periodo della Quaresima rappresenta una fase luttuosa che potrebbe essere la conclusione di un tempo rituale legato al mondo sotterraneo e preannunciante la resurrezione della terra, dell’uomo, del cosmo. In molte zone del Meridione il fantoccio della Quaresima regge con la mano destra il fuso e con la sinistra la conocchia e rappresenterebbe sincreticamente la mutazione ad unum del mito greco delle tre Parche: Cloto, Lachesi e Atropo che filavano, tessevano e interrompevano il destino degli uomini. Il fantoccio della Quaresima, secondo altri studi, affonderebbe le proprie radici negli “oscilla”, ricordati da Virgilio nel secondo libro delle Georgiche. Esso è dunque accostato agli “oscilla” che venivano appesi agli alberi nelle feste dedicate a Dioniso e il cui culto era stato importato dai coloni greci insediatisi nel Sud Italia. Gli “oscilla” erano esposti al vento, elemento naturale divinatorio, che li faceva muovere allontanando in tal modo gli spiriti malefici. È una funzione apotropaica che viene svolta anche dal fantoccio della Quaresima, che oscilla al soffiare del vento. Si tratta di una maschera funebre, connessa alla morte di Carnevale e la sua figura non è altro che il residuo del sopracitato mito delle Parche.

Tutti i riferimenti mitologici di questo rito sono collegati con i simboli della Morte che sembra aver preso temporaneamente il sopravvento sulla Vita. Lo stesso fantoccio ha i segni della non prolificità e della non-festa. Nella cultura rurale, la Quaresima raffigura il tempo più proficuo per le forze del male: il demonio imperversa e non può essere scacciato dal suono delle campane perché sono state legate il giorno delle Ceneri. Le campane resteranno, difatti, mute fino a Pasqua quando, sciolte di nuovo, annunzieranno la resurrezione di Cristo.

Il fantoccio, quindi, altro non è che la personificazione, l’incarnazione di questo periodo fatto di sacrifici e di astinenza in netta contrapposizione con l’opulenza del Carnevale di cui si è celebrato il funerale e al quale viene dato fuoco il sabato precedente alla Pasqua per simboleggiare la liberazione dalle privazioni e la rinascita a nuova vita. Sono rituali che ricordano le cosiddette ‘feste del fuoco’; sono propri della cultura rurale e sono legati ai riti di morte e resurrezione delle divinità. La Quaresima col suo simulacro incarna il mito dell’eterno ritorno, un rito di passaggio che da una fase luttuosa e carica di privazioni approda al ciclo di rinascita con la Pasqua contadina. Quest’ultima, in Campania, principia il lunedì in Albis col pellegrinaggio al Santuario della Madonna dell’Arco e termina la domenica di Pentecoste. Domenica con cui si conclude il ciclo primaverile.