«Non bastano gli incentivi economici per orientare a scelte sostenibili: occorre che le persone provino il piacere di farle, come scelte personali, autodeterminate, divertenti». È complessa la psicologia del risparmio energetico: tocca il portafoglio come il cuore. Ce lo spiega Paolo Inghilleri, docente di Psicologia sociale e ambientale all’Università degli Studi di Milano, che per Enea ha curato la ricerca Comportamenti energetici in ambito domestico: dimensioni culturali, sociali e individuali (si trova online) per indagare le motivazioni e quindi le leve da muovere affinché le persone sviluppino azioni responsabili a favore dell’ambiente.

Professor Inghilleri, lei studia l’attitudine degli italiani alla sostenibilità ambientale. Esistono variabili culturali che influenzano lo sviluppo di comportamenti più o meno virtuosi?

L’atteggiamento nei confronti dell’ambiente è collegato ai valori e alle idee di fondo di come deve funzionare il mondo. Tra gli italiani, per esempio, c’è poca fiducia nei meccanismi partecipativi come fattore di cambiamento e il potere è percepito come distante. Questi e altri fattori fanno sì che i problemi ambientali vengono avvertiti come fattori esterni, che riguardano le scelte politiche o il sistema produttivo, ma non la responsabilità individuale. Quindi le soluzioni non si riconducono ai propri comportamenti. La sfida è superare questo atteggiamento.

Diverse ricerche associano la sensibilità nei confronti dell’ambiente alla sfera della femminilità. Dobbiamo contare sulle donne?

Le ricerche descrivono le società meno mascolinizzate, quindi meno gerarchiche e competitive e invece più orientate alla cura, al collettivo, ai bisogni sociali, come quelle più attente all’ambiente. Lo riscontriamo nelle differenze tra alcuni paesi del Nord Europa e quelli mediterranei o dell’Est europeo, ma non riguarda esclusivamente le donne, sia chiaro. Tuttavia, se scendiamo al livello familiare queste differenze non sono così nette. A mio parere, questo significa che in famiglia i rapporti di forza sono sbilanciati: la motivazione delle donne ci sarebbe, ma non riesce ad esprimersi.

Il focus della sua ricerca è la propensione al risparmio energetico. Avete individuato su quali leve è meglio agire?

Sappiamo che gli italiani stanno attenti all’ambiente per due motivazioni principali: il risparmio economico e la propria salute. Ma sappiamo anche che gli incentivi da soli non funzionano. In Italia abbiamo il parco elettrodomestici più vecchio d’Europa. Bisogna capire perché anche chi ha disponibilità economiche sceglie di non sostituire il frigorifero o la lavatrice di vecchia generazione, che hanno consumi più elevati. Qui entra in campo il significato affettivo che attribuiamo agli oggetti del nostro quotidiano. Bisognerebbe trovare motivazioni che vincano e modifichino questo legame non trascurabile o lo compensino.

Esiste una strategia comunicativa particolarmente efficace?

Io credo che vada individuata volta per volta. Non credo molto nelle campagne generaliste. Per indurre le persone a cambiare abitudini bisogna arrivare all’esperienza soggettiva. A Milano formiamo studenti universitari che fanno progetti con i ragazzini del medie per prendersi cura di luoghi degradati della città. Questi progetti si rivelano efficaci perché i ragazzini si sentono importanti a lavorare con ragazzi più grandi, percepiscono l’utilità e la concretezza della loro azione, lo fanno divertendosi e gli insegnanti li gratificano. Porteranno con sé la memoria di quell’esperienza, ne parleranno con i genitori. Credo sia fondamentale partire dalla scuola, ma questo non esclude che si possa agire sugli adulti.

Quanto gioca la corretta informazione e la comprensione del funzionamento degli elettrodomestici o delle reti elettriche e i loro effetti sull’ambiente?

Sono aspetti importanti, certo, e funzionano se arrivano dal basso. Credo che i social giochino un ruolo fondamentale perché sono i giovani al centro del cambiamento. Servono buone campagne, influencer credibili ed eventi, per veicolare informazioni o messaggi attraverso forme di partecipazione e divertimento. Penso al concerto di Jovanotti la scorsa estate all’Idroscalo: il cantante è riuscito a convincere migliaia di persone ad andarci a piedi e a rinunciare alla macchina, se l’hanno fatto divertendosi, lo rifaranno in altre circostanze.

La crisi Covid ha messo a nudo i legami tra ambiente e salute. Aiuterà ad una maggior attenzione alle questioni ambientali?

Sì, non c’è dubbio. Cercheremo di capire quanto. Se la pandemia ha bloccato la spinta del movimento che si è creato con l’effetto Greta Thunberg, dobbiamo essere consapevoli che il momento è ora. Finita l’emergenza, sarà importante ritrovare quella spinta e riprendere il cammino.