Fenomeno da tempo decaduto, per ovvie ragioni storiche, e altrettanto dimenticato. Per decenni, dalla cosiddetta «oltre cortina», ossia le nazioni di quello che era denominato «blocco sovietico» (che proprio blocco non era, con indirizzi ideologici molto diversi, non di rado contrastanti e opposti), una serie di radio trasmettevano in lingua italiana (ma non solo, se ne contavano a decine, dall’inglese all’arabo, tedesco, francese, parsi) programmi e notiziari, finalizzati alla propaganda in territorio «ostile», di quanto il socialismo reale fosse migliore e più avanzato. Le radio rappresentarono l’eterogeneità delle diverse, talvolta profonde, differenze politiche del «blocco». Dalla specificità storica e culturale di ogni singola nazione, all’ortodossia nei confronti della linea sovietica, dal rigore autarchico di Radio Tirana, alle posizioni autonome di Radio Belgrado e Radio Capodistria, la voce più italiana in terra jugoslava, tuttora in attività dopo oltre settant’anni e che seguì come principale referente comunicativo, l’indipendenza della Slovenia e la caduta del muretto divisorio tra Gorizia e Nova Gorica il 21 dicembre 2007, quando Lubjiana entrò nell’area di Schengen.

La copertina di «Radiocronache, storia delle emittenti italofone d’Oltrecortina» (Prospero Editore), il libro di Lorenzo Berardi

AIUTI DAL PCI
Lorenzo Berardi nel libro Radiocronache, storia delle emittenti italofone d’Oltrecortina (Prospero Editore), ripercorre, con dovizia di particolari, nomi, date, citazioni e ampi dettagli, la storia, spesso incredibile e rocambolesca, di queste radio (le cui trasmissioni iniziarono negli anni Trenta e si protrassero fino a qualche anno successivo, primi Novanta, alla caduta del Muro di Berlino) che vissero periodi di pericolosa clandestinità, durante la seconda guerra mondiale, diventando spesso la voce delle varie Resistenze, subirono dolorose censure da parte del potere comunista nel dopoguerra, epurazioni e chiusure, furono testimoni di cambiamenti epocali. Combatterono «una guerra delle onde a colpi di propaganda e contropropaganda sull’etere del Vecchio Continente».
Il Pci fu spesso coinvolto, fornendo aiuti anche economici, redattori, monitorando le trasmissioni, a cui parteciparono centinaia di connazionali, emigrati per scelte ideologiche o come fuoriusciti politici, spesso invece inviati dal partito. Le radio avevano migliaia di affezionati ascoltatori che interagivano con frequenza con le redazioni, spedendo lettere di approvazione, critica, volontà di collaborazione. Ricevendo puntualmente risposte e anche omaggi. Radio Mosca fu basilare durante la seconda guerra mondiale per una corretta informazione, al pari, con i dovuti distinguo, di Radio Londra, su quanto accadeva in Italia. «Chi ascoltava la radio di stato sovietica durante gli anni del conflitto non erano più i soli simpatizzanti comunisti ma anche chi desiderava avere aggiornamenti sugli eventi bellici in corso da una prospettiva diversa. Quella che arrivava dall’Urss in quegli anni era sempre informazione schierata e filtrata ma per molti ascoltatori italiani restava un’indispensabile voce fuori dal coro della propaganda fascista».
Interessante anche il ruolo di Radio Praga che non solo soddisfaceva l’esigenza di una visione alternativa in Italia ma soprattutto una platea di connazionali fuggiti in Cecoslovacchia dopo la fine della guerra. Si parla di ben cinquemila italiani, «quasi tutti comunisti e provenienti dalla lotta partigiana. A questi ultimi l’approdo oltreconfine permise di mettersi momentaneamente al riparo dai guai giudiziari che avrebbero avuto restando in madrepatria. Sul loro capo pendevano infatti accuse o condanne per reati, presunti o reali, compiuti durante e dopo la guerra di Liberazione». Molti vi trovarono lavoro e non pochi restarono a viverci, altri tornarono progressivamente in Italia. La radio visse momenti particolarmente critici dopo l’invasione sovietica del 1968, prima della quale, allo stesso modo del governo cecoslovacco, aveva dato segni di apertura (appoggiati con benevolenza dal Pci).

ORTODOSSIA SOVIETICA
Il ritorno all’ortodossia sovietica portò a numerose restrizioni, al licenziamento di quasi tutti i redattori italiani e a una normalizzazione comunicativa e ideologica. Sempre da Praga trasmise per una ventina d’anni, fino ai primi anni Settanta, Oggi in Italia, radio in lingua italiana creata dal Pci, per «diffondere la propria voce e ostacolare la Dc» con programmi di informazione e sperimentali che causarono non poche frizioni con il governo italiano e quello cecoslovacco. «Ju flet Tirana», ‘qui parla Radio Tirana’ era l’inizio delle trasmissioni che arrivavano dall’Albania. Attiva dal 1938, voce dell’occupante fascista, divenne nel dopoguerra l’integerrimo e rigidissimo megafono della propaganda del regime di Enver Hoxha che, consapevole della scarsa alfabetizzazione del suo popolo, puntò sulla diffusione radiofonica dell’ideologia comunista per arrivare in modo capillare in ogni angolo del paese. Totalmente filosovietica nel periodo stalinista, lanciava costanti e pesanti bordate contro l’occidente capitalista, rifiutando ogni approccio amichevole con la vicina Italia, da cui si ascoltavano facilmente in tutto il territorio le trasmissioni.
Il Pci mantenne sempre una rigorosa distanza evitando di instaurare qualsiasi rapporto con Radio Tirana (che non mancava di bollarlo come il «Partito revisionista italiano»). Nel 1961 Hoxha rompe anche con l’Urss, lascia il Patto di Varsavia e si chiude in un isolamento impermeabile a qualsiasi contatto esterno, continuando a lanciare strali contro il resto del mondo, glorificando i progressi dell’Albania. Sarà solo agli inizi degli anni Novanta, con il crollo del regime, che le cose cambieranno anche per la radio che si allineerà lentamente agli standard internazionali. Dal 2017 trasmette solo su web.
Il libro si concentra anche su Radio Budapest, Radio Varsavia, Radio Berlino Internazionale, Radio Bucarest, Radio Sofia. Un tassello di una modalità informativa che cercava altrove un’alternativa al grigiore della radiofonia italiana. A fianco delle classiche Radio Montecarlo, Radio Lussemburgo o le trasmissioni della Bbc che nel periodo antecedente al fenomeno delle radio libere portavano nuove musiche e avanguardia, si inseriva questo mondo lontano e misterioso, polarizzante tra chi lo riteneva fonte di luce e sole dell’avvenire e chi lo considerava semplicemente una voce nemica. Comunque affascinante e interessante. In quest’ottica la radiofonia odierna si è omologata ovunque sulle stesse modalità comunicative e artistiche e diventa difficile distinguerne la collocazione geografica e culturale in un’omogeneità che riporta ai toni grigi e uniformi da cui si fuggiva cinquanta anni fa.
La durata di trasmissione in italiano delle varie radio era limitata a poche ore al giorno e prevalentemente dedicata a notiziari e rubriche di approfondimento culturale e politico. Relativamente agli spazi musicali, per lungo tempo furono dedicati a musica tradizionale, classica, canzoni locali, canti partigiani delle varie resitenze e l’immancabile L’Internazionale. Per decenni in Albania fu ad esempio proibito lo studio e la pratica di strumenti come batteria, chitarra elettrica o trombone! Si potevano solo suonare strumenti a corda e a fiato tradizionali. Solo nel 1965 ci fu una sporadica concessione alla «decadente musica occidentale» con una versione di ‘O sole mio di Claudio Villa. Radio Sofia, ribattezzata Radio Bulgaria nel 1992, chiuse le trasmissioni italofone nel 1997 sulle note di brani di Iva Zanicchi, Mina e Celentano.