A Voghera è stata la giornata dell’interrogatorio di Massimo Adriatici di fronte al Gip Maria Cristina Lapi. L’assessore leghista è stato ascoltato per circa tre ore in mattinata. I suoi legali lo descrivono come «affranto e distrutto», sostengono che l’assessore si è attivato perché Youns El Boussetaoui «aveva avuto comportamenti violenti e scagliato una bottiglia». Adriatici, raccontano a Voghera in queste ore, da tempo aveva caratterizzato la sua carica aggirandosi per le vie considerate a «rischio degrado» con la pistola in tasca. Una scelta vistosa e direttamente collegata alla ricerca di consenso che aveva creato imbarazzi quando non disguidi diplomatici con alcuni esponenti delle forze dell’ordine.

LA DECISIONE del magistrato è prevista per quest’oggi. Il pubblico ministero Vincenzo Valli ha chiesto che Adriatici rimanga agli arresti domiciliari perché, sostiene, c’è il rischio che inquini le prove e perché potrebbe ripetere il reato. Il che è in contraddizione con l’ipotesi di reato formulata dagli stessi inquirenti nelle prime ore successive all’assassino di El Boussetaoui: eccesso colposo in legittima difesa. Se pure l’eccesso colposo configura una fattispecie di reato, è il ragionamento dei difensori della famiglia della vittima, questo implica una circostanza specifica: la minaccia alla persona e della relativa difesa seppure sproporzionata di fronte al pericolo. Ma questo è un fatto che difficilmente potrebbe reiterarsi.

COME SI SPIEGA? «Questa contraddizione logica – è la valutazione dell’avvocata Debora Piazza – è l’effetto di quello che è avvenuto nei giorni scorsi». In altre parole, il clima intorno al caso sarebbe cambiato. Dapprima, e la circostanza sarebbe ulteriore elemento di allarme se confermata, sembrava di trovarsi di fronte a un senza fissa dimora figlio di nessuno. Questo pregiudizio utilizzato come alibi per la superficialità con la quale è stato affrontato il caso suona come un’aggravante non da poco. Spiegherebbe ad esempio il fatto, che i difensori di El Boussetaoui considerano gravissimo e inaudito, che sul corpo dell’uomo sia stata eseguita l’autopsia senza che ne venisse informata la famiglia o i legali stessi. Sono cinque anni che difendo El Boussetaoui per reati minori, bagatellari – racconta ancora Piazza – L’ho fatto col gratuito patrocinio, il che significa che per il tribunale di Pavia sarebbe stato semplicissimo risalire ai miei contatti».

E INVECE è successo che i membri della famiglia di El Boussetaoui hanno scoperto della morte di Youns soltanto perché Piazza ha letto per caso la notizia mercoledì mattina e li ha avvisati. Nessuno ha avuto l’accortezza di fare un piccolo accertamento per risalire ai parenti della vittima: padre in Italia, a Novara, un fratello in Svizzera e una sorella in Francia. Il pm Valli ha dovuto scusarsi per aver disposto l’esame sul cadavere senza che vi partecipasse un perito di parte. Fatto insolito ma non riparativo rispetto al danno arrecato al confronto tra le parti. La difesa proverà a recuperare qualcosa, anche se nulla sostituisce la partecipazione diretta al momento dell’autopsia, grazie all’intervento del dottor Galeazzi, medico legale nominato dalla difesa che nelle prossime ore potrà osservare la salma per provare a ricostruire la dinamica dell’uccisione.

MA, DICEVAMO, forse proprio l’intervento dei familiari e degli avvocati ha consentito che il clima attorno al caso mutasse. Dal momento in cui la vittima è uscita dall’anonimato, come se un anonimo meritasse una giustizia minore, l’atteggiamento degli inquirenti pare essere cambiato. Così potrebbe spiegarsi la discrepanza tra la prima ipotesi di reato e la richiesta di custodia cautelare che il Gip sta valutando. Tuttavia, l’avvocata Piazza lamenta che non appena ha cominciato a occuparsi della vicenda ha raccolto alcune testimonianze ma che ha trovato un muro di gomma presso i carabinieri che hanno in mano il fascicolo. «Eppure – spiega ancora Piazza – il codice consente alle parti di condurre indagini autonome e depositare testimonianze». Tutto adesso finirà in procura.