Bisogna avere molta fantasia per credere che Maria Elisabetta Alberti Casellati incarni «la volontà di cambiamento», o che la sua elezione alla presidenza trasformi il senato «da luogo della casta a luogo principe della democrazia», come sostengono adesso i grillini. Oppure bisogna immaginare che scrivendo il suo doppio cognome sulla scheda del senato, come hanno fatto disciplinatamente tutti i senatori 5 Stelle, si stava in realtà scrivendo quello brevissimo di Roberto Fico. Alcuni lo hanno detto: «Idealmente votavamo per lui». E per convincersene hanno festeggiato più rumorosamente le notizie in arrivo dalla camera che la vittoria della loro candidata al senato, esultando all’improvviso sugli spalti come fanno i tifosi quando ricevono notizie positive da un altro stadio. Solo che, malgrado la presenza tra gli scranni di Adriano Galiani, non si stava giocando a pallone ma scegliendo la seconda carica dello stato.

L’IMPORTANTE in certe situazioni è vincere, non partecipare. E ancor di più presentarsi come vincitori oltre ogni ragionevole dubbio. Salvini, il vero trionfatore di questa mano, non ha avuto alcun bisogno di alzare le braccia al cielo o abbracciare tutti in favore di telecamere, quello lo hanno fatto i 5 Stelle. E Renzi, uscito dall’aula del senato come una pasqua: «Ha vinto il mio schema», ha spiegato. Hanno fatto, cioè, tutto gli altri. Nessun dubbio invece su dove stia il grande sconfitto, chiuso nel suo palazzo e costretto a festeggiare attraverso poco credibili comunicati. La nuova presidente del senato non lo ha dimentica e tra l’incontro con Mattarella e quello con Gentiloni infila una visita omaggio a palazzo Grazioli. Silvio Berlusconi le fa le congratulazioni. Lei probabilmente gli fa notare le prime parole del suo discorso di insediamento, dove dice che solo la piena legittimazione tra le varie forze politiche potrà condurre alla formazione del governo. Un pensiero affettuoso per il Cavaliere con il quale i grillini dicono di non voler avere a che fare.

È STATA SEMPRE una berlusconiana d’attacco, la neo presidente. A partire dalla sua prima legislatura, conquistata grazie alla presentazione del collega avvocato Ghedini, i loro studi professionali distano 50 metri nel centro storico di Padova. All’epoca, 1994, Di Maio aveva otto anni. Ed era assai giovane anche quando, a partire dal 2001, Maria Elisabetta Alberti Casellati diventò la custode più tenace della linea di Forza Italia sulla giustizia.
Erano gli anni della «barbara ed eversiva oppressione politico giudiziaria della sinistra», come la raccontava lei. Gli anni degli attacchi alle toghe rosse, degli accuse all’Ulivo «servo della menzogna», «manuale delle frottole», «padre di tutte le bugie», gli anni del «colpo di stato giudiziario», di Berlusconi, Previti e Dell’Utri «perseguitati dalla magistratura». Dalla legge Cirami al lodo Schifani, dalla legge Cirielli alla legge Frattini non una delle famose «leggi ad personam» faceva a meno delle arringhe in senato dell’avvocata Casellati. Capace di difendere ma anche di attaccare, a colpi di commissioni Mitrokhin e TeleKom Serbia. Promossa sottosegretaria alla Salute (il ministro era Sirchia), la senatrice non si fece distrarre dai temi della giustizia, se si fa eccezione di qualche uscita contro la pillola abortiva e dell’assunzione della figlia Ludovica (giornalista, ex Publitalia, adesso collaboratrice del ministero dell’ambiente) come sua capo segreteria.
Eletta con schede verde Lega (o ex Lega) e con 240 voti (ne mancano solo cinque o sei), l’applauso più grande la neo presidente lo ha ricevuto quando ha confessato l’emozione per essere la prima donna alla guida del senato. «Nessun obiettivo e nessun traguardo è più precluso», ha detto. E ha reso omaggio alle protagoniste del Risorgimento. E poi alle donne della Resistenza, «qui magistralmente rappresentate dalla senatrice Segre», anche se la senatrice a vita non ha potuto partecipare alla lotta di Liberazione perché aveva quattordici anni ed era stata deportata ad Auschwitz. L’afflato femminista dev’essere però una conquista recente.

ERA ALBERTI CASELLATI infatti a difendere Berlusconi quando nel 2004 disse che i senatori andavano a Roma solo per vedere l’amante. «Una battuta di spirito». E tre anni dopo era ancora lei a rispondere a Veronica Lario, quando dalla prima pagina di Repubblica attaccò il marito per quello che diceva alle altre donne. «Dichiarazioni innocenti e scherzose». Avvocata matrimonialista, Alberti Casellati non si fermò dal mettere sull’avviso Flavia Prodi, che le aveva scritto per chiederle di lasciar perdere la capigliatura di suo marito Romano: «Non si tinge i capelli». «Suo marito le nasconde qualcosa», fu la non affettuosa risposta.

L’OMAGGIO alla senatrice Segre, poi, non dovrebbe far dimenticare che è di Alberti Casellati una proposta di legge per togliere il diritto di voto ai senatori a vita, iniziativa che risale agli anni in cui il governo Prodi aveva bisogno di quei voti. Così come porta la firma della neo presidente una proposta per introdurre il vincolo di mandato in Costituzione, cosa che a i 5 Stelle in effetti piace moltissimo.
Avversaria delle unioni civili, nemica delle leggi sul fine vita, sostenitrice della castrazione chimica per gli stupratori, paladina dalla legge contro la fecondazione assistita, Alberti Casellati con l’ultimo governo Berlusconi è tornata a occuparsi prevalentemente di giustizia. Sottosegretaria del ministro Alfano, ne ha difeso il Lodo salva Berlusconi, giurando sulla sua costituzionalità. La Corte costituzionale ha dovuto smentirla. Stessa difesa, e stessa bocciatura, poco dopo per la legge sul legittimo impedimento. Pieno successo invece per la tesi che Berlusconi credesse davvero nella parentela di Ruby con Mubarack, ai senatori Casellati spiegò di aver ascoltato anche «una registrazione» che lo comprovava. Nella scorsa legislatura l’ultima battaglia, contro il «plotone d’esecuzione» che stabilì la decadenza di Berlusconi da senatore. Impegno premiato comunque con l’elezione al Csm e la ricandidatura il 4 marzo nel collegio blindato di Venezia. Per la sesta legislatura a palazzo Madama dove dal 1994 è stata lontana solo per due anni, tra il ’96 e il ’98, la sua unica sconfitta. A fermarla allora, nel collegio di Cittadella, fu la Lega.