La polvere va “allevata”, suggerivano Duchamp e Man Ray nel 1920 con Élevage de poussière. Lo prova la mostra Joan Fontcuberta. Cultura di polvere, a cura di Francesca Fabiani e allestita al Museo Fortuny di Venezia. L’esposizione, frutto del programma Iccd Artisti in residenza promosso dalla Fondazione musei civici della Serenissima e dall’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione (Iccd) di Roma, presenta, su display, dodici grandi paesaggi fotografici di Fontcuberta e, in una sala a parte, gli scatti fonte su lightbox.

OGNI ANNO l’Istituto romano invita un fotografo a dialogare con le collezioni storiche, lì conservate dalla fine dell’Ottocento, e a risvegliarle. Fontcuberta, ospite per il 2023, ha provocatoriamente scelto, dagli immensi depositi dell’Iccd (6 milioni di fototipi), le lastre più deteriorate, provenienti dal Fondo del principe Francesco Chigi Albani della Rovere, rampollo della potente casata aristocratica e papale italiana.

IL PROCEDIMENTO è surrealista. Emulsioni di gelatina ai sali d’argento accolgono le lastre di Francesco Chigi e frammenti di materia che Fontcuberta preleva dai loro negativi, ormai agonizzanti. In modo simile a questo naturalista e fotografo amatoriale del XIX secolo, interessato non a realizzare belle immagini, ma a osservare il divenire degli ambienti attraverso la macchina fotografica, Fontcuberta lascia crescere e amplifica, nelle vecchie foto, i segni del tempo: graffi, lacune, muffe, batteri, funghi, umidità. Microrganismi proliferano in mezzo a montagne, foreste, laghi e animali visibili in controluce, ma che stanno per scomparire, non riescono più a fissare la memoria. È il trionfo baudelairiano dello scarto, dell’infimo, dell’abietto, in eccesso di vita e contrario all’immagine elevata e nobile della fotografia come luogo dell’immortalità.

L’ARTISTA catalano mette in crisi le certezze e le (false) convinzioni acquisite sulla fotografia: che sia imperitura e un documento di verità, di autorialità. Se il suo progetto è vincitore del Piano per l’arte contemporanea (Direzione generale creatività contemporanea del Mic, Pac2021), è perché spinge chi gestisce quotidianamente patrimoni artistici ad alcuni cambi di prospettiva, nella teoria e nella pratica. Le azioni conservative non bastano. La polvere che si accumula, il tempo che cancella ci informano che per ricordare occorre risemantizzare, produrre rimediazioni che diano al passato nuova linfa.