Il 16 settembre scorso, in piena campagna elettorale, i sindacati di Cisl, Cgil e Uil hanno rivolto un accorato appello a tutte le forze politiche perché, nell’imminenza delle elezioni, trovasse adeguato spazio nel dibattito politico il drammatico tema delle morti sul lavoro e, più in generale, della salute e sicurezza dei lavoratori.
Naturalmente non è accaduto nulla, e con l’implacabile stillicidio di tre vittime al giorno, i lavoratori hanno continuato a morire nei primi nove mesi del 2022, come del resto nell’anno precedente.

Questa presa di coscienza collettiva dei sindacati sulla drammaticità della situazione è il segno che sono bastati pochi mesi dalla infelice riforma del decreto 81/08 per rendersi conto che i problemi annosi della salute e dell’incolumità dei lavoratori non si risolvono con giochi di prestigio come l’estensione delle funzioni di vigilanza nei luoghi di lavoro alla Direzione Nazionale del Lavoro o con l’aumento di qualche centinaio di nuovi ispettori alle dipendenze del Ministero del Lavoro, pur positivo per contrastare le diffuse irregolarità nei rapporti di lavoro.

Si trattava di scelte vagamente populiste del tutto inidonee a risolvere una questione grave e complessa che richiede tempo, risorse (finora sempre negate alle Regioni) e l’impegno di attori diversi, a partire dalle imprese. Consapevoli della complessità della situazione, i sindacati tornano a chiedere provvedimenti semplici, ma essenziali.

C’è bisogno di maggiore impegno delle aziende in materia di formazione e addestramento di tutti i lavoratori e in particolare dei datori di lavoro. Bisogna rafforzare i controlli attraverso un sistema di vigilanza che coinvolga tutti gli attori della prevenzione a garanzia dell’adozione della contrattazione collettiva maggiormente rappresentativa a tutti i livelli, con l’estensione a tutti i lavoratori di eguali tutele di salute e sicurezza. E, infine, che ogni finanziamento alle imprese proveniente dal Pnrr sia condizionato agli investimenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Ma la strada fin qui percorsa non è quella indicata dai sindacati: si è preferito cambiare il testo del decreto 81/08 attribuendo funzioni di vigilanza alla competenza degli Ispettori del Lavoro che affiancano così i servizi pubblici di prevenzione delle Asl. Un provvedimento che a distanza di quasi un anno dalla sua adozione non ha dato (né poteva darlo) alcun risultato: i lavoratori continuano a morire come e più di prima, ad infortunarsi gravemente ed ad ammalarsi molto più di prima.
Nessuno parla in Tv o sulla stampa delle malattie professionali; eppure il numero dei morti per malattie contratte a causa del lavoro non è certo inferiore a quello dei morti per infortunio.

La scelta di intervenire sul T.U. 81/08 ha avuto effetti negativi sulla tenuta dell’intero sistema di prevenzione, innescando una serie di spinte disgregatrici emblematicamente riassunte in un ‘decalogo Aias per il lavoro sicuro’, la cui logica ci riporta indietro nel tempo. Si rimette di nuovo in discussione l’assetto unitario della legge 833/78 di riforma sanitaria che aveva eliminato la frammentazione delle varie competenze istituzionali, la deleteria separazione tra le funzioni di vigilanza e quelle di prevenzione e la sostanziale assenza dei responsabili aziendali dalla elaborazione partecipata degli interventi di eliminazione dei rischi.

Si ritorna al passato di oltre 40 anni fa: qualcuno vagheggia perfino l’istituzione di un corpo unico di vigilanza che eserciti l’attività di controllo, ma non si occupi più di prevenzione, come se le aziende avessero bisogno solo di controlli e di contravvenzioni, e non anche di formazione e di cultura adeguata alla complessità degli interventi di sicurezza. Giustamente Susanna Cantoni, Presidente della Consulta interassociativa italiana della prevenzione (Ciip), ha osservato che «la prevenzione dei rischi occupazionali è tema complesso che richiede riflessioni ben ponderate, non emotive e che non offrano il destro a chi vorrebbe procedere a colpi di spugna, di modificare il D.Lgs. 758/94, eliminare importanti obblighi dei datori di lavoro giudicandoli formalismi e ridurre ancor più̀l’attività dei servizi pubblici, già̀ decurtati ampiamente di risorse».

Certo si potrebbe obiettare che l’opera delle aziende sanitarie locali, specie in alcune parti del territorio nazionale, è stata carente e non è riuscita ad incidere in profondità. Ma si tratta per l’appunto di un motivo in più per investire in prevenzione i fondi del Pnrr, per rinforzare gli organici delle Asl, vergognosamente decimati negli ultimi dieci anni, e per accrescere la cultura di tutti gli addetti alla prevenzione.
Questa sarebbe stata la via da percorrere, non certo quella di modificare le norme esistenti, che sono assolutamente sufficienti ad assicurare un’adeguata tutela dei lavoratori.

La prof. Sciarra, da pochi giorni Presidente della Corte Costituzionale, ha osservato nel suo discorso di insediamento che «L’Italia ha un corpo di norme sulla tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro molto avanzato, che è studiato come modello». Ma ha subito aggiunto che «c’è bisogno di insistere utilizzando leggi che sono già molto avanzate. C’è una scarsa attenzione nell’ attuarle nel modo migliore». Proprio così: dal nuovo governo non ci si attende che modifichi le norme sulla sicurezza ma che intervenga con provvedimenti e risorse capaci di garantirne l’applicazione.