Gentile Tommaso Di Francesco,

il manifesto, giornale molto attento alle questioni internazionali, al di là delle idee più o meno condivisibili, offre di solito ai lettori un’informazione attenta, analitica e soprattutto mai banale.

Per questo stupisce che una firma del suo calibro si sia abbandonata, in riferimento alla mia recente visita in Cile, a un giudizio che non posso che definire superficiale. La visita, avvenuta nei primi giorni della mobilitazione, aveva lo scopo, come chiarito in ogni occasione e incontro, di far sentire la vicinanza dell’Italia “al popolo e alle istituzioni cilene” in un quadro di grande fermento sociale e politico. Le istituzioni, non credo sia necessario sottolinearlo, non coincidono con il governo o con una parte politica. Proprio per questo, durante la missione ho voluto incontrare espressioni politiche di maggioranza e di opposizione, intellettuali e personalità di vario orientamento, rappresentanti di istituzioni internazionali e della comunità italiana lì residente.

Tra i soggetti con i quali ho potuto confrontarmi anche l’Istituto per i diritti umani del Cile che dai primi giorni delle proteste ha documentato e denunciato numerosi specifici episodi di violenza da parte delle forze di polizia. Negli stessi giorni peraltro iniziava il suo lavoro la commissione inviata dall’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite Bachelet, la cui relazione finale non è ancora stata resa nota. Non ho mancato di esprimere ai miei interlocutori le preoccupazioni per tali comportamenti e la condanna di ogni forma di violenza. Sul giudizio complessivo – se si sia trattato di gravi episodi isolati da parte di singoli agenti delle forze dell’ordine o se siamo addirittura di fronte ad una repressione sistematica delle proteste – credo sia giusto attendere le risultanze degli organismi e delle autorità internazionali indipendenti.

Altrettanta attenzione ritengo vada rivolta al fenomeno – minoritario ma ahimè per nulla insignificante – della violenza di alcune frange di manifestanti che appaiono essere frutto di gruppi organizzati e che rischiano di appannare le ragioni sociali profonde delle proteste: lotta alle diseguaglianze, pensioni, diritto alla salute, istruzione pubblica, equità fiscale. Sono scese in piazza le classi medie che, uscite dalla povertà negli anni della democrazia, oggi chiedono di più e mettono in luce la crisi di un modello economico iperliberista che ha prodotto crescita ma non ha ridotto le diseguaglianze.

Difficile dire quale possa essere lo sbocco di una mobilitazione che – ad oggi – non esprime leaders e che origina anche da un drammatico scollamento tra cittadini e classi dirigenti. Questa protesta parla anche a noi, all’Italia e all’Europa. Anche per questo sono convinta che sia necessario interloquire con tutti e auspicare un dialogo sociale e politico che possa dare risposta al malessere sociale di larga parte dei Cileni e rafforzare le istituzioni democratiche di questo Paese.

* Vice Ministra degli Esteri