Alcune settimane fa la foto scattata dal giapponese Yasuyoshi Shiba, vincitore del World Press Photo 2020, è rimbalzata nei maggiori quotidiani d’informazione di tutto il mondo. In Straight Voice – questo il titolo dell’opera – viene immortalato un particolare momento delle proteste antigovernative avvenute durante un black-out a Khartoum, Sudan, il 19 giugno 2019. Al centro della scena un ragazzo: ha la mano sul petto, la bocca spalancata, l’espressione determinata. Sembra uno sportivo durante l’inno nazionale. Gli altri manifestanti, prevalentemente adolescenti e bambini, stanno battendo le mani; le luci dei telefoni, in fondo, che rischiarano la notte africana, sembrano i riflettori di uno stadio. Lui pare non accorgersi di ciò che ha intorno: il suo sguardo scavalca l’obiettivo e va a posarsi su un punto che non sembra esistere per gli altri. Probabilmente, nemmeno lui sa cosa sta guardando, concentrato com’è nella sua performance, nel ricordare le parole giuste e la maniera più efficace per offrirle: una voce onesta, diretta, come sintetizza il titolo. Se questa foto fosse corredata da un audio, ci aspetteremmo un grido di battaglia, un coro, forse un insulto nei confronti del governo sudanese. Ciò che il ragazzo al centro della scena sta urlando, invece, è una poesia.

Origini della poesia orale
La performance poetry è utilizzata in varie parti del mondo come strumento del dissenso, della critica sociale, della ribellione, e non è un fenomeno recente ma affonda le sue radici in un passato antichissimo.
La poesia nasce infatti orale: nella Grecia pre-omerica gli aedi recitavano le storie degli dei e degli eroi, componendo le proprie parole su uno schema metrico ripetitivo che ne permetteva il ricordo e la rielaborazione. Il medium originale era pertanto il poeta, con il suo corpo e la sua voce. Solo inseguito all’invenzione dell’alfabeto la poesia si fa anche scritta, affidando la trasmissione dei poemi omerici non più alla memoria dell’aedo ma alla stesura su supporti esterni, in particolare il papiro.

Dopo alcuni secoli di equilibrio, l’invenzione della stampa consegna un ruolo predominante alla dimensione scritta della poesia, che verrà mantenuto fino al termine dell’Ottocento. All’alba del Novecento però, e successivamente nel corso del secolo, il rapporto tra oralità e scrittura viene nuovamente modificato da alcune invenzioni quali la radio, il telefono, la televisione, tali da permettere il ritorno di ciò che Gabriele Frasca ha definito «il sortilegio orale».

Si tratta di un’oralità mediata dalla conoscenza della scrittura e quindi definita «secondaria» in opposizione a quella «primaria» delle popolazioni pre-alfabetiche – non solo i Greci prima di Omero, ma anche popolazioni moderne, come le tribù dell’Alto Volta studiate da Goody nel Novecento. Questa oralità secondaria, o «di ritorno» come la definisce Walter J. Ong, segna chiaramente la società a partire dall’alba del secolo. Anche la poesia scritta ne è influenzata, come dimostra la nascita di movimenti artistici di avanguardia, in particolare il futurismo, capaci di far esplodere le forme tradizionali inserendo la voce, il parlato all’interno della poesia.

La poesia orale in senso stretto, detta anche Spoken Word, entra nel Novecento solamente dagli anni Venti, durante il cosiddetto Rinascimento di Harlem, venendo fin dal principio utilizzata come strumento di protesta. Diversi poeti – tra tutti Langston Hughes – impiegano infatti la Spoken Word per esprimersi nelle lotte per i diritti civili degli afro americani statunitensi, recitando le proprie poesie ad alta voce e contaminandole con i ritmi del jazz e del blues. Successivamente, al riacutizzarsi dello scontro negli anni ‘60, la poesia orale si riafferma come forma di dissenso nelle performance di Gil Scott-Heron, Amiri Baraka, e The Last Poets, ponendo quindi le basi per la nascita di una nuova onda.

NASCITA DELL’HIP-HOP
Il legame tra contestazione politica e Spoken Word è dunque ben radicato fin dalle origini ed è visibile ancora oggi: negli Stati Uniti, le poesie di Nick Cannon proseguono la lotta per i diritti degli afro americani, in una situazione mai risolta e anzi aggravata dalla presidenza Trump, come testimonia il recente assassinio di George Floyd. In uno dei suoi pezzi più famosi, Stand for what?, Cannon sostiene il gesto di Colin Kaepernick, giocatore di NFL inginocchiatosi durante l’esecuzione dell’inno americano in segno di protesta contro gli abusi della polizia: «Stand for what?! / You want me to stand for a song that continues to remind me of all the harms that have done me wrong?» Nel corso degli anni però la Spoken Word si è diffusa anche al di fuori degli U.S.A., e difatti poesie orali di critica sociale sono rintracciabili in altri paesi, come Palestina (i componimenti di Rafeef Ziadah che raccontano l’oppressione israeliana), Brasile (le poesie di Emerson Alcalde contro il presidente Bolsonaro) e appunto Sudan, dove la scena Spoken Word è straordinariamente attiva: Yousra Elbagir, Emtithal Mahmoud, ma anche Alaa Salah, la studentessa nota per le sue proteste contro il presidente Omar al-Bashir, hanno rappresentato sicuramente un riferimento per il giovane immortalato al centro di Straight Voice.

La poesia orale continua dunque a funzionare come megafono di denuncia contro le ingiustizie sociali: all’originale sentimento antirazzista si sono aggiunti altri temi, come la parità di genere e dei diritti LGBTQ, che hanno reso la Spoken Word un efficace strumento di dissenso in tante piazze del mondo.

E in Italia?
Nel nostro paese invece, è ancora raro imbattersi nella poesia in luoghi di protesta. Per una cultura come quella italiana, la cui ricchissima tradizione poetica è fortemente legata al concetto di scrittura, sembra fuori luogo la presenza della poesia in una piazza, in un contesto in cui la dimensione orale prevale su quella scritta. Una prima ragione di questo ritardo sta probabilmente nella considerazione generale che si ha della poesia in Italia, cioè di un’arte appannaggio di pochi eletti, quasi aristocratica e destinata alla meditazione silenziosa piuttosto che ai suoni di una manifestazione; e poi nel ruolo fondamentale assunto dagli anni ‘70 dal cantautorato come strumento del dissenso a discapito della poesia, tanto che l’opinione pubblica ha spesso appiccicato l’etichetta di «poeta» a straordinari cantautori quali De André, Guccini, Lolli; una terza ragione, infine, risiede nella popolarità della Spoken Word in Italia, che solo recentemente si sta ritagliando una posizione significativa all’interno del panorama artistico.

Questo sviluppo è testimoniato non solo dagli eventi di poetry slam, open mic, o di poesia performativa, che sempre più spesso hanno luogo in varie zone del paese, ma anche dalla diffusione dei laboratori di poesia orale negli istituti d’istruzione secondaria: una caratteristica significativa di queste esperienze sta nel fatto che molte di esse si sviluppano in scuole di frontiera e di periferia, frequentate da un’alta percentuale di studenti stranieri, spesso con situazioni complicate alle spalle, come ad esempio l’Istituto Aldini-Valeriani di Bologna. In questi casi la Spoken Word diventa un canale attraverso cui la poesia arriva in contesti emarginati e che probabilmente non avrebbe altrimenti raggiunto: si fa strumento di integrazione, di interazione e di espressione per gli italiani di seconda generazione. Non a caso, tra i pochi artisti italiani ad aver tentato di portare la poesia orale nei contesti di protesta, c’è Wissal Houbabi, nata in Marocco e cresciuta in Italia, attivista di Non Una di Meno, e ideatrice del manifesto per l’anti sessismo nel rap italiano.

Nel futuro
Forse la poesia orale italiana, per diventare riconosciuto strumento di espressione del dissenso come accade nel resto del mondo, ha bisogno di dare voce agli immigrati e ai nati o cresciuti in Italia privi di cittadinanza, per i quali può rappresentare una nuova forma di comunicazione nelle lotte per l’integrazione, per la parità di diritti, per le ingiustizie economiche. Il 21 maggio scorso ha avuto luogo lo sciopero dei braccianti, promosso dal sindacalista Aboubakar Soumahoro per protestare contro la regolarizzazione voluta dalla ministra Bellanova che esclude per motivi burocratici un gran numero di migranti. Nelle immagini della manifestazione si vedono i braccianti marciare, gridare in coro, ripetere le parole pronunciate al megafono da Soumahoro.
In futuro, la poesia orale potrebbe entrare a far parte di un contesto di questo genere, e rappresentare un efficace strumento attraverso cui i migranti e gli italiani di seconda generazione possano esprimere il loro dissenso e proseguire la battaglia per la parità di diritti, in una forma anche plurilinguista, dove cioè l’italiano si contamina con la lingua madre.

I più giovani, in particolare, potrebbero rappresentare un fattore chiave in questo passaggio, attraverso cui la poesia abbandona i salotti e torna nelle strade, nelle piazze, nelle periferie, e da carta silenziosa si fa voce viva, sincera, diretta: Straight Voice, come in una notte di protesta a Khartoum.