Tra le pagine più apprezzate di Cristo si è fermato a Eboli si contano quelle dedicate alla descrizione dei panorami sui quali si affaccia il paese lucano di Aliano. Brulli e calcinati, di forre, dirupi e calanchi. E, accanto alla rappresentazione dei paesaggi, si fa assai conto, giustamente, dei brani nei quali Carlo Levi (1902-1975) si sofferma a delineare volti e caratteri dei personaggi che animano il suo racconto. Insomma i paesaggi e i ritratti hanno nel celebre libro un particolare risalto, e si imprimono nella memoria del lettore con un loro speciale rilievo. Essi articolano, coordinandosi alle variegate e diverse componenti, l’andamento della narrazione nel suo procedere (ciò che costituisce una peculiarità ed uno dei pregi dell’opera) inteso a dar conto, come Levi ha dichiarato, d’una sorta di «viaggio al principio del tempo».

Confinato politico, nella provincia di Matera, a Grassano prima e poi ad Aliano, Levi restò dieci mesi, tra l’agosto del 1935 e il maggio del 1936. Alla scrittura di Cristo si è fermato a Eboli, come è noto, si dedica sette anni dopo, a Firenze, tra il dicembre del 1943 e il luglio del 1944. Nei giorni di Aliano Levi non scrive, dipinge. Approfondisce la sua ricerca pittorica in un impegno costante (sono oltre settanta le tele realizzate allora) ed è rivolto ad elaborare, con particolare determinazione, proprio le tematiche relative al paesaggio e al ritratto. Abbiamo così l’opportunità di prendere in considerazione e raffrontare i generi del ritratto e del paesaggio nelle diverse declinazioni che Levi, con risultati di elevato tenore, imprime loro quando li tratta, ora, secondo una regola letteraria o, invece, li conforma, ora, secondo le compatibilità della pittura. Dunque: sembra a me si debba constatare una notevole dissimiglianza tra i quadri che raffigurano i volti e i luoghi di Agliano e le pagine del libro che quei volti e quei luoghi descrivono. Rispondono infatti a due distinti paradigmi formali. Levi, immerso nel tempo quotidiano di Aliano, registra giorno per giorno la sua diretta presenza al seguito d’una emozione che, volta a volta, lo tiene e che trasferisce in pittura. Levi, lontano da Aliano, anni dopo, immerso nel tempo interiore ove quelle emozioni si sono depositate in memoria, fa sì che esse si decantino in evocazioni e che, trascorrendo in scrittura, vengano ad abitare là dove Aliano muta di nome e diviene Gagliano, un paese dell’anima. Del resto, nella resa pittorica Levi si avvale d’un procedere sinuoso tale da combinare gli accostamenti cromatici in un serpeggiare senza soste, con il risultato di metter capo a superfici ondose che ora vanno, ora scemano, ora, con un vigore nuovo, si espandono. Al movimento veloce, al mosso della pittura subentrerà un andante sostenuto nella scrittura.

A titolo di esempio riporto un brano del celebre ritratto di Giulia, la Santarcangelese: «La fronte era alta e diritta, mezza coperta da una ciocca di capelli nerissimi lisci e unti; gli occhi a mandorla, neri e opachi, avevano il bianco venato di azzurro e di bruno, come quelli dei cani (…) la bocca larga, dalle labbra sottili e pallide, con una piega amara, si apriva per un riso cattivo a mostrare due file di denti bianchissimi, potenti come quelli di un lupo».

Se i colori, là, sulla tela, si compenetrano e accavallano, qui, nella pagina, son circoscritti e ciascuno è fermo nel suo castone. Quei dipinti non sono le illustrazioni di Cristo si è fermato a Eboli. È da dire che Levi si mostra consapevole dei risultati conseguiti negli olii del confino riguardo, credo, sia alla raggiunta acquisizione d’un codice formale che sente suo, sia, e forse ancor più, dell’esser riuscito a dare evidenza ad un contenuto politico intrinseco a quelle sue immagini. Sarà, certo il libro ad ottenere al proposito politico di Levi l’universale riconoscimento, ma è un fatto che, ancora al soggiorno obbligato, egli invia alla Promotrice di Torino tre quadri appena eseguiti e che, tornato libero, tra il novembre del 1936 e il maggio del 1937 espone i dipinti di Aliano in tre personali, a Milano, a Genova e a Roma. Affidava Levi alla sua pittura (e a Giansiro Ferrata e a Sergio Solmi autori dei testi di presentazione non sfugge) la novità della sua carica di denuncia politica.