Ma la pistola è carica o scarica? Il bello, o il brutto, di questa vicenda è che non lo sa nessuno, neppure l’uomo che brandisce minaccioso l’arma, Renzi Matteo. Non è una mano di poker in cui si fronteggia la tenuta dei nervi dei giocatori nel vortice di bluff e controbluff: è un giro di roulette russa, nel quale nessuno sa se e quando il colpo micidiale partirà davvero. Nelle ultime ore Renzi ha messo sul tavolo la rivoltella che faceva intravedere già da mesi: «Se vado sotto sulle riforme si vota, non mi farò logorare come Letta». In effetti negli austeri corridoi di palazzo Madama del merito delle riforme non parla nessuno: «La minoranza Pd cederà perché teme le elezioni», «Forza Italia salverà le riforme uscendo dall’aula perché non vuole votare»: nei capannelli e nelle analisi non senti dire altro.

La faccenda però è meno semplice. Da settimane i falchi azzurri spingono il cavaliere sulla linea intransigente impugnando anch’essi le eventuali elezioni, ma in senso opposto a quello renziano: «Si voterebbe col Consultellum in tutte e due le camere. Noi ne usciremmo molto meglio che con l’Italicum. Senza maggioranza il Pd sarebbe costretto a fare un governo con noi e non è per nulla detto che a presiederlo tornerebbe Renzi».

Il premier ha la contromossa pronta: un decreto per anticipare l’entrata in vigore dell’Italicum alla Camera. A quel punto il vincitore non avrebbe la maggioranza al Senato, ma la vittoria nelle urne e lo schiacciante vantaggio assicurato da un premio di maggioranza abnorme a Montecitorio gli garantirebbero comunque una postazione di assoluto vantaggio. Solo che i decreti devono essere convertiti. Persino uno spregiudicato come Renzi non potrebbe permettersi la forzatura estrema di votare prima della conversione. E Mattarella, di fronte a una simile enormità, dovrebbe aprire almeno un occhio. Potrebbe persino schiuderli entrambi e segnalare, come avrebbe fatto a muso duro Napolitano, che votare con due sistemi elettorali diversi non sta né in cielo né in terra.

La conversione del decreto anticipa-Italicum, al Senato, sarebbe appunto un’ulteriore roulette russa. Se davvero, come Renzi ritiene certo, la minoranza sta armando questa ira di dio sulle riforme solo per levarselo di torno, non si capisce perché dovrebbe poi salvarlo regalandogli una legge elettorale su misura. Per l’Ncd, poi, si tratterebbe di suicidarsi. Qualcuno lo farà, seguendo Alfano. Molti altri no.
Lo stesso Renzi, infine, preferirebbe di gran lunga rinviare l’appuntamento con le urne. Una cosa è sfidarle con la promessa di eliminare la tassa sulla casa per vessillo, tutt’altra arrivare al momento della verità con la prebenda elettorale già consolidata. Se proprio non si potesse evitare il redde rationem sulla Carta, gli strateghi di palazzo Chigi preferirebbero posticipare l’esplosione fino alla lettura definitiva della riforma, quando al Senato saranno necessari 161 voti. A quel punto sia i dividendi elettorali della ripresina sia quelli, più cospicui, della defiscalizzazione sarebbero pronti a essere incassati.

Per tutta questa settimana i giocatori resteranno seduti intorno al tavolo, con l’acciaio azzurro della pistola ben in vista, sperando che nessuno abbia lo stomaco di premere il grilletto per primo. Poi in aula, la suspence dovrà per forza sciogliersi. Sarebbe una scena interessante, non fosse che la sceneggiatura non è quella del Cacciatore, ma la Costituzione italiana.