Se c’è in Italia un artista che con coerenza utilizza la realtà urbana per farne il «luogo di ricerca» per un’azione diffusa oltre gli ordinari linguaggi dell’arte, questo è Ugo La Pietra. Attraverso la combinazione di medium e tecniche eterogenee, egli indaga da più di cinquant’anni in modo serio e con «dolce» ironia, la relazione tra noi, la città e il paesaggio per smascherarne tutte le incongruità e paradossi. Convinto che compito dell’artista è dare «alle persone la possibilità di vedere le cose in modo diverso», La Pietra crea strumenti semplici per ricomporre le «relazioni sconnesse» tra architettura e natura, centro e periferia, spazi pubblici e privati.
Al Centro Italiano Arte Contemporanea di Foligno, nella mostra dal titolo Istruzioni per abitare la città, curata da Italo Tomassoni, Giacinto di Pietrantonio e Giancarlo Partenzi, è raccolta (fino al 30 settembre) buona parte della sua produzione tra disegni, collage, fotografie, oggetti e video tutti aventi quale fulcro l’indagine intorno allo spazio urbano e al suo «soggetto abitatore». Dal 1966 a oggi è da questo interesse che si origina l’attività del nostro «operatore estetico». La mostra raccoglie, secondo un ordine tematico, i materiali che all’incirca ricalcano le cinquantasei Istruzioni illustrate in catalogo (Viaindustriae Publishing). Si inizia dalla tesi che prima di abitare la città occorre saperla usare. Ecco, quindi, le Mappe – sovrapposizione di un foglio lucido su uno stradario con sopra segnati vari itinerari personali – che incontriamo dopo una selezione delle anonime attrezzature urbane trasformate in oggetti d’arredo domestico en plein air (Riconversione Progettuale, 1979): un orinatoio mutato in letto a castello, un segnale stradale e due dissuasori verticali modificati in tavolino e idonei attacchi per un’amaca.
A seguire, secondo un ordine che avrebbe forse avuto necessità di qualche spiegazione in più, ecco illustrata l’Istruzione n.5 che invita ad andare a piedi alla scoperta della «realtà più rarefatta» della periferia: oggi, rispetto al 1969, l’anno degli scatti fotografici di La Pietra, un ammasso edilizio inghiottito dallo sprawl. Ancora proseguendo, troviamo le sue «operazioni» di «decodificazione» ambientali: dallo strumento creativo del Commutatore (1970) – un piano inclinato dal quale distesi si osserva da diverse angolazioni la realtà circostante – all’installazione ideata per l’isola pedonale di Como fatta di teli di plastica per concepire un percorso alternativo nel centro storico.
Ognuno dei «dispositivi urbani» ideati da La Pietra affonda i suoi motivi ideologici nelle posizioni più radicali dell’arte del dopoguerra: in primis quelli dell’Internazionale Situazionista dalla quale egli mutua la frase «Abitare è essere ovunque a casa propria», che rappresenterà il programma-manifesto che dal 1968, e per un decennio, segnerà una serie di sue performance per guadagnare «gradi di libertà» nella città. In coincidenza con queste azioni esperienziali, come il radersi per strada, si dedica da architetto (laureatosi al Politecnico nel 1964) al progetto di spazi destrutturati influenzato da Coop Himmelb(l)au, Haus-Rucker-Co e Street Farm. La Pietra è il primo a comprenderne la novità esplosiva parlandone nelle sue riviste (IN, Progettare INPIÙ). Risale a questo periodo il suo Sistema Disequilibrante: insieme di teorie e progetti capaci di coinvolgere qualsiasi processo di formalizzazione purché risvegli «le sopite facoltà immaginative dello spettatore e del cittadino» (Dorfles). A quest’ambito appartengono La cellula abitativa, esposta nella mostra Italy New Domestic Landscape (MoMa, 1972), e i negozi Mila Schön (Roma) e Jabik (Milano), così come i microambienti della serie Immersioni raffigurati con segni di penna assimilabili ad astratti esperimenti calligrafici.
Nel ventennio successivo La Pietra prosegue nel discutere l’«evoluzione lineare» del design. Molte le affinità con il Baudrillard del Sistema degli oggetti (1968): condivide con il filosofo francese l’idea che l’evoluzione funzionale delle cose nella loro relazione con l’individuo è «una liberazione parziale e ambigua» in assenza di una «ristrutturazione dello spazio». È questa idea a distinguerlo sia dai Radical italiani, sia dai Postmodernisti, ai quali purtroppo spesso è stato assimilato per superficialità di analisi.
Anche nelle ultime creazioni l’obiettivo è ricercare nel design l’osmosi tra l’interno domestico e l’esterno metropolitano. Non si può rinunciare, infatti, «alla spettacolarità, alla meraviglia, al piacere» anche quando ci minacciano. La risposta alle paure del presente è la seduta in rete metallica e barriera new jersey antiterrorismo (2017), variante dei salotti geometrici in calcestruzzo Soggiorni urbani (1989). La Pietra vi è fotografato seduto nell’area centrale di Milano, dove è imminente la consegna della Biblioteca degli Alberi: l’area verde dell’operazione di gentrificazione nel quartiere Garibaldi-Repubblica. L’artista-architetto lo vediamo orientare lo sguardo verso la sua «Città senza Morale» che ha scelto di costruire in altezza quando si dà in orizzontale (Istruzione n. 49). Nel guardare alcuni grattaceli rivestiti di essenze arboree scrive quanto è facile nascondere «le incompetenze e le facilonerie di certi architetti». E’ una fortuna che la «Città senza Morale» sia questo ma contenga anche voci e anime chiare e ribelli come La Pietra.