«Carcere è l’anagramma di cercare», così Samuele Ciambriello, garante regionale dei detenuti della Campania, esprime la sua visione delle pene detentive. Sfruttare il periodo di reclusione per andare alla ricerca di sé stessi, provare a ricostruire un dialogo intimo e riuscire, magari, a perdonarsi dopo aver elaborato i propri errori. Un percorso che risulterebbe agevolato da condizioni di detenzione rispettose della dignità umana. La pratica però ci dice che siamo ancora lontani, in Campania e nel resto del paese, dal realizzare questa situazione.

Carcere, idee proposte e riflessioni (Rogiosi editore, pp. 192, euro 12,50) contiene la quarantennale esperienza di Ciambriello a contatto con i carcerati, con i loro problemi e con quelli degli addetti che sono partecipi, insieme ai primi, delle numerose criticità esistenti nei nostri affollati istituti di pena. Sentimenti di rabbia, scoramento, la convinzione di non avere ormai più posto nel mondo di fuori animano spesso i detenuti; ma da qualche parte, tra di loro, alberga il rifiuto della rassegnazione e dell’idea che sia tutto finito, un rifiuto che va coltivato in funzione di una rinascita da cercare, per quanto difficoltosa e impegnativa.

SCRIVE CIAMBRIELLO che il libro «racconta la storia di molti uomini rinchiusi, scoraggiati e abbandonati, ed è accompagnato dall’esperienza di molti operatori e volontari che toccano con le loro mani il terreno spinoso delle nostre strutture penitenziarie, con l’obiettivo di aiutarci a capire quanto sia difficile il loro compito». La funzione rieducativa della pena carceraria è sancita dall’art. 27 della Costituzione; in altri termini la pena non può essere considerata esclusivamente un castigo né può consistere in trattamenti contrari alla dignità umana. È la privazione di quest’ultima a ostacolare il principio costituzionale del recupero; essa ha luogo con i già citati fenomeni di sovraffollamento e con la scarsa quando non assente attenzione nei confronti di tutta una serie di problematiche e di disagi frequenti fra i detenuti. Tra essi quelli dovuti alla mancanza di dialogo, all’insufficienza del tempo dedicato alle attività di studio e apprendimento di un mestiere in funzione di un futuro reinserimento sociale, all’abbandono dei reclusi afflitti da problemi psichici, cose che negano qualsiasi prospettiva di recupero e cambiamento.

QUELLO DEI SUICIDI in carcere, fenomeno in crescita l’anno scorso, è per l’autore del libro «l’epilogo che chiude la porta alla speranza». È la fine di una storia, una delle tante storie di umanità, sbagliata quanto si vuole ma sempre umana. E brani di queste storie, ricordi, sensazioni, sono raccontati brevemente nel libro da ex carcerati che ripensano a quegli interminabili pomeriggi nelle celle quando terminano le attività mattutine «e si spalanca il vuoto». Nel libro le testimonianze di detenuti ed ex, spesso caratterizzate da sfumature agrodolci, si uniscono ai ricordi di Ciambriello, quelli degli anni ’70 e dell’inizio del decennio successivo, epoca di grandi riforme in termini di gestione delle pene carcerarie con l’introduzione e l’ampliamento dei trattamenti alternativi alle misure puramente detentive e di cambiamenti sul piano della giustizia minorile.

Una stagione di speranze di cui è tuttora oggetto il pianeta carcere che l’autore descrive nella sua quotidianità dedicando ampio spazio alle figure d’ausilio e a quella del garante sempre più esposta a critiche strumentali provenienti dal giustizialismo bieco di certa parte politica. Presenti nell’opera contributi focalizzati su argomenti specifici: l’analisi della fenomenologia carceraria da parte di Celestina Frosolone, Liberare i minori, educare gli adulti di Anna Malinconico, le detenute madri di Anna Buonaiuto e il tema dei sex-offenders curato da Dea Demian Pisano, valide collaboratrici e compagne di viaggio del garante nonché studiose delle materie in questione.

IL LIBRO invita a una riflessione su cosa sia oggi la detenzione ed è riassunto dall’anagramma della parola carcere che per Samuele Ciambriello «è un luogo in cui si cerca ancora: altre persone, una nuova identità, un sogno: un ritrovarsi insieme anche per risarcire, metabolizzare il dolore causato agli altri e alla stessa società» e magari anche a sé stessi, si potrebbe aggiungere.