«Fin da piccolo, quando mio cugino mi regalò un fumetto di Dragon Ball, ho sempre voluto disegnare fumetti» confessa Alberto Madrigal, 34enne spagnolo cresciuto a Valladolid trapiantato dal 2007 a Berlino, dove guadagnava bene con gli sfondi per videogames senza smettere di sognare «un lavoro vero». Ora è un autore dallo stile originale con due titoli nel catalogo Bao Publishing che lo annuncia fra gli ospiti di Lucca Comics & Games Heroes 2017.

Nello stand di Piazza Napoleone, Madrigal sarà presente da mercoledì pomeriggio fino a domenica mattina con l’anteprima della traduzione italiana di Berlino 2.0 (96 pagine, 15 euro). Racconta come Margot, 23 anni, arriva nella capitale della Germania e della libertà per poi fare i conti con il disincanto dei coetanei in una metropoli suggestiva quanto complicata.

Cosa spinge a disegnare «fumetti»? Perché, poi, con lo stile «realista»? E proprio con quel genere di colore?
Fino a qualche anno fa volevo essere un disegnatore di fumetti, ma soltanto con storie scritte da altre persone. Finché un giorno ho avuto l’esigenza di provarci da solo per capire cosa aveva da dire il mio subconscio su un problema che razionalmente non riuscivo a risolvere. Ovvero la questione che ho affrontato nel primo libro Un lavoro vero, cioè se avessi dovuto continuare il lavoro ben pagato ma insoddisfacente, oppure se seguire le passioni, ma rischiare. Ho provato a disegnare e raccontare con il linguaggio del fumetto quello che sentivo e ho scoperto la gioia di essere un autore completo. Nel mio caso, lo stile non è una scelta razionale. Viene fuori da solo quando lavori, nel disegno e nel colore. Entrambi cambiano a seconda dell’emozione che vuoi trasmettere al lettore. D’altra parte, non mi piacciono i colori saturi che spesso si usano nel fumetto. Cercavo una gamma più spenta, più simile a quella che ti dà l’acquerello.

Qual è, in punta di matita, l’ambizione di raccontare così una storia?
In genere tutto nasce da una frase che hai sentito, da un’immagine che ti viene in mente o da un aneddoto che vorresti approfondire. Pensi a qualcuno che conosci, cambi o esageri qualche aspetto della sua personalità e gli fai vivere delle situazioni inventate. C’è il divertimento, ma anche il desiderio di capire la realtà attorno a te attraverso i personaggi che crescono e si svelano diversi da come te li aspettavi.

Il libro su Berlino: come nasce?
Ho conosciuto Mathilde Ramadier (autrice di diversi fumetti per Dargaud e Futuropolis in Francia) in un social network per artisti chiamato Artconnect Berlin. Mi ha parlato del suo progetto e mi ha proposto di disegnarlo. Avevo già realizzato un libro su Berlino, ma questa volta mi piaceva l’idea di fare unicamente il regista con i disegni e concentrarmi su come raccontare la storia dal punto di vista visivo. C’era solo un problema: avendo lavorato come autore unico, ero abituato ad avere libertà assoluta nella narrazione. E questo, di solito, non piace agli sceneggiatori. Per fortuna Mathilde era entusiasta e mi ha dato via libera. Lei avrebbe scritto la storia, ma sarei stato io a decidere come raccontarla. Dopo che ho finito Va tutto bene, ho cominciato a lavorare su Berlino 2.0. Mathilde aveva firmato il contratto con Futuropolis in Francia, ma ci tenevo che per i diritti stranieri fosse pubblicato con i miei editori: Bao Publishing in Italia e Norma Editorial in Spagna. In Francia è stato nominato per le Prix Cheminots de la BD sociale et historique e sembra che stia piacendo. In Spagna è uscito da poco, ma  il feedback è positivo. A Lucca, il miglior «debutto» possibile in Italia…

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Zerocalcare tradotto in tedesco: «Kobane Calling» è stato presentato a maggio nel cuore del quartiere turco di Wedding. E ora hai disegnato la copertina del suo «Macerie Prime» in uscita il 14 novembre.
C’ero anch’io alla Biblioteca a Luisenbad in quella serata davvero speciale. Ma sinceramente non ho avuto l’opportunità di sapere il riscontro, se c’è stato, con la comunità turca. Per la copertina, è stata una di quelle rare collaborazioni che nascono dall’ammirazione tra due autori. È cominciato tutto come uno scherzo. A Lucca Comics, anni fa, ho conosciuto Zerocalcare che mi ha fatto una dedica in cui scriveva che dovevamo unire le nostre forze: avrei fatto i «colori delicati» sui suoi disegni e avremmo conquistato il mondo. Più o meno. Alla fine sono questi i lavori più emozionanti, dove ti senti libero di sperimentare e allo stesso tempo vuoi dare il meglio. Ci abbiamo pure scherzato sopra facendo sul blog delle tavole a fumetti che raccontavano la lavorazione sulla copertina.

«Consigli» a un giovane aspirante autore?
Non pensare alla pubblicazione. Scrivi una storia fino alla fine senza farla leggere a nessuno. Finiscila, torna indietro per migliorarla, falla leggere ad altre persone e migliorala ancora. Comincia a disegnarla, consapevole che non ti piacerà quello che verrà fuori. Dopo una ventina di pagine qualcosa di buono comincerà a succedere. L’importante, di nuovo, è arrivare fino alla fine. Poi ci sarà tempo di sistemare quello che non va.

Infine, il blog che «regali» a chi ti segue: com’è?
Di solito quando lavoro a un libro c’è qualcosa che vorrei provare, ma non voglio rischiare di rovinarlo. Il blog invece è come un parco giochi. Posso provare soluzioni narrative, scorciatoie nel disegno o cambi di stile. In più hai il feedback immediato dei lettori. Lo immagino come un libro a lungo termine, improvvisando un capitolo alla volta. Un libro fatto di tanti pezzi apparentemente staccati, ma che raccontano in modo onesto un periodo della mia vita.