Elezioni nuove errori vecchi. Non sono esclusi ripensamenti – nella lacerata maggioranza di governo potrebbero in extremis trovare un compromesso sulla finanziaria – ma Israele corre veloce verso nuove elezioni, le quarte in due anni. E il centrosinistra, o ciò che resta di esso, rincorre per l’ennesima volta il miraggio del capo di stato maggiore di turno che catapultandosi da fresco pensionato in politica sbaraglierà il leader della destra e premier più longevo della storia del paese, Benyamin Netanyahu. Un modello che ricorda da vicino una parte della sinistra italiana che velleitariamente vede in giudici e magistrati i leader politici che essa

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non riesce più ad esprimere. Così due giorni dopo la rottura tra Netanyahu e il suo, a questo punto, ex principale alleato di governo, il centrista Benny Gantz (a sua volta un ex capo di stato maggiore), già si levano voci nel campo progressista a sostegno del generale di turno, Gadi Eisenkot, che da poco ha lasciato il comando delle forze armate israeliane.

La più forte di queste voci, ancora una volta, è quella di Ravid Drucker, giornalista e commentatore politico reso famoso dalle inchieste sulle malefatte di Netanyahu. Dopo aver promosso con entusiasmo meno di due anni fa il partito dei generali, Blu Bianco, presentandolo come l’ariete in grado di abbattere il leader della destra, e incurante del successivo tradimento del suo leader Benny Gantz che si è alleato con Netanyahu, Drucker ha già pronto il nuovo messia del centrosinistra, il generale Eisenkot appunto. Poco importa che l’ex capo di stato maggiore non abbia mai professato idee in qualche modo avvicinabili a quelle di sinistra o favorevoli a un approccio politico, fondato sulla legalità internazionale, all’occupazione del popolo palestinese. Per Drucker, commentava qualche giorno fa Haaretz, Eisenkot «ha il potenziale per attirare più elettori ed è il più adatto di tutti a competere con il primo ministro Netanyahu su questioni di affari esteri e sicurezza».

La propensione del centrosinistra per i vertici militari «si sta trasformando in parodia», punzecchia la giornalista Noa Landau che, criticando il «nazionalismo di sinistra», spiega che non si può continuare con l’idea secondo la quale un generale non genera nell’elettorato dubbi sul suo patriottismo e, pertanto, prende voti a destra. Tre elezioni in meno di due anni hanno dimostrato che non è vero: la maggioranza degli israeliani è convintamente di destra e vota per l’originale.

Le cose vanno persino peggio spostandosi più a sinistra. Non ci sono segnali di una partnership, almeno elettorale, tra la sinistra sionista e la Lista unita araba che pure nell’ultimo anno è stata l’unica vera opposizione a Netanyahu. La direzione del Meretz ha seccamente respinto nei giorni scorsi l’idea avanzata da alcuni iscritti di trasformarsi da partito sionista in una formazione ebraico-araba, e guarda anch’essa a un generale, Yair Golan, che sostiene di voler rifondare la sinistra su basi nazionaliste. Affonda il Partito laburista, destinato all’estinzione se, come segnala il suo leader Amir Peretz, correrà da solo alle elezioni. E ora trema anche la Lista araba dilaniata al suo interno dalla clamorosa decisione degli islamisti di Mansour Abbas di avviare un negoziato con Netanyahu e il suo partito, il Likud.

Il premier perciò rischierà più in tribunale – lo attende il processo per corruzione – che in politica. Secondo i sondaggi se si votasse oggi, il Likud resterebbe il primo partito con 29 seggi sui 120 della Knesset, seguito a distanza dai nazionalisti religiosi di Yamina e da Yesh Atid del centrista Yair Lapid. A Blu Bianco di Gantz andrebbero solo10 seggi, danneggiato dalla possibile discesa in campo del suo collega e potenziale rivale Eisenkot che gli porterebbe via almeno quattro seggi. Il blocco delle destre al momento ha una solida maggioranza.