Com’era ampiamente prevedibile, l’incontro di ieri tra governo e sindacati è stato un flop, se lo si guarda dal punto di vista dei pensionati e dei pensionandi. Ciò che il governo ha messo sul tavolo è peggio che insufficiente.

È uno schiaffo all’intero paese, persino se lo si raffronta con gli impegni assunti nel settembre del 2016. Su cui i sindacati avevano evidentemente riposto eccessiva e non innocente fiducia, quando invece esso più che altro serviva, nelle intenzioni di Renzi poi travolte dai fatti, a conquistare credibilità e consensi anche in vista della prova referendaria del 4 dicembre.

Arrivati al dunque, alla cosiddetta fase due prevista in quell’accordo, tutto evapora. E i ritocchi rispetto alle proposte avanzate dall’Esecutivo nel precedente incontro appaiono miserevoli. Né il nuovo incontro fissato per martedì prossimo cambierà la situazione, visto che si tratterà solo di «approfondimenti» entro «un perimetro» di proposte già fissate. Anche le chiacchiere preelettorali del segretario del Pd si arrestano di fronte ai vincoli cui è sottoposta la legge di bilancio.

Che peraltro deve ancora ricevere il via libera da parte delle autorità europee. La Renzinomics basata sui bonus, sugli sgravi e gli incentivi alle imprese, è totalmente priva di qualunque, fosse anche flebile, afflato sociale. L’estensione del blocco dell’età pensionabile anche per le pensioni di anzianità e l’istituzione di un fondo per mettere a regime l’Ape sociale non risolvono nessuno dei problemi di fondo che stanno di fronte al nostro sistema previdenziale dopo i disastri provocati dalla legge Fornero. Che non sono sanabili con qualche aggiustamento dell’ultimo momento, ma richiedono l’abrogazione di quella controriforma, la peggiore eredità avvelenata del governo Monti, e la ricostruzione di una nuova normativa previdenziale basata sulla solidarietà fra generazioni. Impensabile con questo governo e con questo quadro politico. Ma anche se si volesse restare in un’ottica puramente minimalistica, è ben chiaro che la platea dei beneficiari del blocco dell’aumento dell’età della pensioni, lo scatto dei cinque mesi, rimane troppo ristretta. Mentre per quanto riguarda donne (del lavoro di cura neanche a parlarne) e giovani (meno che mai) la chiusura del governo è completa. Malgrado questo un risultato il governo lo porta a casa: la divisione del sindacalismo confederale. Se Susanna Camusso dichiara insufficienti le proposte del governo, e annuncia che la Cgil si prepara a un piano di mobilitazioni, la Uil traccheggia, rovistando alla disperata ricerca di aspetti positivi ed altri da approfondire, apparecchiando così il tavolo per il governo in vista di martedì prossimo. Mentre la

Cisl si sdraia completamente sulla linea governativa, abboccando con piacere agli ami lanciati da Gentiloni, definendo importanti le «nuove» proposte e soprattutto prefigurando nel prossimo futuro un collateralismo di lungo corso con i prossimi governi, visto che il dialogo con l’Esecutivo viene definito proficuo ad onta della comprovata totale insincerità da parte governativa.

L’approccio che, rispetto ai tempi del governo Renzi, era stato definito meno ruvido e autoritario da parte di Gentiloni nei confronti del movimento sindacale, si rivela nei fatti per quello che è: una strategia di divisione, che Padoan ipocritamente cerca di mascherare con un rammarico di circostanza. La parola e gli atti devono dunque tornare alle lavoratrici e ai lavoratori. Alle donne e ai giovani. Ai disoccupati e ai precari. La mobilitazione annunciata dovrà essere intensa ed ampia. Proprio ora avremmo bisogno di quella coalizione sociale troppo presto abbandonata anche dalla parte migliore del movimento sindacale.