È Matt Damon – protagonista del film di apertura di Alexander Payne, Downsizing – la prima «grande» star hollywoodiana ad attraversare il tappeto rosso di Venezia 74. Alla conferenza di presentazione del film – che tocca temi attuali come il riscaldamento globale o la crisi dei rifugiati – l’attore era stato l’unico a prendere posizione rispondendo all’immancabile domanda su Trump, il fautore dell’uscita degli Stati uniti dagli accordi di Parigi: «Trump rispetto all’ambiente sta solo distruggendo quello che ha fatto Obama. Possiamo solo aspettare che se ne vada». Il co-sceneggiatore e produttore del film Jim Taylor ha invece minimizzato la vena politica di Downsizing : «Con Alexander Payne lavoriamo a questo progetto da oltre 10 anni, quindi molte cose hanno ’raggiunto’ il film, all’epoca non ci rendevamo contro che avremmo vissuto precisamente nel mondo in cui viviamo oggi».

Nel pomeriggio di ieri a Venezia si sono incontrati anche i presidenti delle giurie ufficiali – per la prima volta cinque dopo l’inaugurazione del concorso Venice Virtual Reality al Lazzaretto. Presidente della giuria della neonata sezione è John Landis: «Sono qui – dice il regista di The Blues Brothers – perché questa tecnologia è nuova, in costante evoluzione: solo nelle ultime settimane ci sono già stati dei progressi. Voglio imparare a conoscerla. Nel cinema tradizionale così come nelle altre arti, l’artista indica dove guardare, il suo occhio si sovrappone a quello di chi guarda . Ciò che rende affascinante la realtà virtuale è che consente invece di guardare dove si preferisce. Voglio vedere l’uso che ne fanno gli artisti», conclude Landis che si dice soprattutto entusiasta ansioso di guardare, tra i lavori in concorso, The Deserted di Tsai Ming Liang, che con i suoi 55 minuti è il più lungo dei lavori selezionati.

Insieme a Landis ci sono la presidente della giuria del concorso ufficiale Annette Bening – «Ero emozionatissima di essere stata chiamata, quindi non mi sono messa a contare i film selezionati diretti da donne» risponde a chi le chiede se sia turbata dalla presenza di una sola regista in concorso – Giuseppe Piccioni a capo della giuria di Venezia Classics, Gianni Amelio alla guida dei giurati di Orizzonti e la giuria che assegnerà il premio De Laurentiis alla migliore opera prima.
E naturalmente il presidente della Biennale Paolo Baratta e il direttore della Mostra Alberto Barbera – che difende la scelta fatta in selezione di accogliere i film targati Netflix che tanto scompiglio avevano creato al Festival di Cannes, da cui ora sono banditi. «Sarebbe assurdo, e anche discriminatorio da parte di un Festival, non accogliere in concorso un film Netflix solo perché non uscirà in sala», dice Baratta dopo che sempre sotto la sua direzione – nel 2015 – Venezia aveva inaugurato la «vita festivaliera» dei prodotti della piattaforma streaming con Beasts of no Nation di Cary Fukunaga e il doc poi candidato all’Oscar Winter on Fire di Evgeny Afineevsky.

«Un Festival seleziona sempre i film migliori – ha aggiunto – sceglie quale film mostrare e non chi li distribuisce. Netflix e Amazon sono nuovi player globali della produzione cinematografica, investono nel cinema e hanno diritto di decidere come far vedere i loro film, non spetta a noi giudicare».
Proprio domani la premiere di un film Netflix fuori concorso – Our Souls at Night di Ritesh Batra , il quarto insieme di Jane Fonda e Robert Redford – segnerà l’occasione per la cerimonia di consegna del Leone d’oro alle due icone del cinema.