Il documentario «rock» è un terreno minato, bisogna sempre ricordarlo, perché solo così è possibile apprezzare le poche eccezioni che sfuggono occasionalmente alla regola. Il classico «rockumentary», perversamente, è una collezione di teste parlanti intervallate da materiali d’archivio e pezzi di musica dal vivo, i trionfi e ovviamente il peggior concerto dell’artista in questione. Motivo per cui un documentario su un jazzista finisce fatalmente per assomigliare formalmente a quello su un qualsiasi gruppo black metal. Ed è per questo motivo che anche a distanza di decenni si continuano a celebrare i film di Demme.

PER CUI il rockumentary fatalmente interessa gli aficionado di un dato artista e nessun altro al di fuori di una cerchia ristretta. Il film di Loveridge su M.I.A., pur non distaccandosi troppo te dal doc musicale abituale, vanta se non altro il merito di tentare delle strade alternative. Il regista, infatti, conoscendo la musicista da molto tempo, ha avuto accesso al suo mondo attraverso una prossimità e complicità autentica. Ed è interessante notare come il film, presentato lo scorso anno a Berlino emerga in un momento in cui apparentemente la stella di M.I.A. è (immeritatamente) in declino. Il film, infatti, fra gli altri meriti, possiede quello di ricostruire la parabola politica di Maya Arulpragasam, troppo facilmente offuscata dagli aereoplanini di carta (con il campionamento dei Clash diventato un geniale tormentone).

Quel che all’epoca sembravano (ai più superficiali) solo dichiarazioni estemporanee di una diva no-global in cerca di facile visibilità (accuse mosse alla musicista soprattutto dai critici statunitensi), Loveridge ha il merito di ricollocarle nel tessuto di una vita e di un impegno che non è mai stato apprezzato molto dai media, cui sono seguite dichiarazioni di ostilità e ostracismi.

ATTRAVERSO un decennio di musica che ha lasciato davvero il segno, dichiarazioni, polemiche, scontri, la parabola politica e artistica e M.I.A. emerge come una delle più coerenti della musica «pop» degli ultimi tempi. Un’artista a tutto tondo, che ha sempre pagato in prima persona (basti pensare alle sue prese di posizione nei confronti dei rifugiati e dei Tamil) e che non ha mai smesso di sperimentare. Loveridge, con l’ammirazione e la devozione di un amico, crea così il ritratto polistratificato di una donna complessa che decide di giocare il gioco della celebrità seguendo solo le sue regole. Probabilmente trascorrerà del tempo prima di avere un nuovo disco di M.I.A., ma questo film ci ricorda che la sua voce è e resta fondamentale. In uscita il 20 gennaio.