Quella notte del gennaio 1990 in cucina, a casa di Giuliana, mia madre, che ora non c’è più, ce ne stavamo con Camillo e Leandro a cazzeggiare slogan in rima baciata, inneggiando e brindando alla felina che da ormai due settimane continuava a farsi beffe di finanzieri, poliziotti, domatori di Circo e giornalisti che cercavano di ingabbiarla. Mai e poi mai avremmo pensato che trent’anni dopo, nel Duemila e venti, oltrepassando quel fatidico 2001 che pareva fantascientificamente appartenere al futuro remoto, saremmo stati ancora qui, a parlarne.

Già la vita è troppo nera, non cacciate la Pantera…” Ha ha ha! Evvài, un altro bicchiere di vino alla salute del gattone imprendibile, veloce e sensuale, che con passo felpato faceva razzìa tra Formello e il Grande Raccordo Anulare, di galline e veline, apparendo, sparendo e riapparendo più in là, tra l’erba alta: scattando più rapida e sicura di qualunque meccanica pantera, o gazzella, copiata e guidata dai goffi ed umani tutori dell’ordine costituito.

Una pantera.

Nera.

E vera.

Non una leggenda metropolitana ma una vera fiera, feroce e felice.

Un pericolo pubblico bellissimo.

Anarchia animale pura.

Sovversione allo stato brado.

Tutti a fiutarne il pericolo. Tutti a chiedersi: “E adesso? Dove sarà? Quando riapparirà?

Dove colpirà? Che combinerà? Chi la fermerà?”

E tutti, ma proprio tutti, e tutte, a tifare per lei.

A sperare nel profondo che nessuno potesse mai arrestarla.

Tutti a sperare, e a temere di trovarsela davanti.

Una Pantera. Un essere vivente così diverso da noi cittadini: rassegnati al massimo ad imbatterci, nella giungla metropolitana, con un cane al guinzaglio. O un piccione.

O con la sua cacca, soltanto.

Il merito, o la colpa, sta nel fatto che il giorno dopo, andando al lavoro l’eco delle rime baciate suonava ancora, e le tante idee frullavano nella testa: “Sai se facessimo delle magliette dalla parte della Pantera quante ne venderemmo?” Diceva Camillo, e Leandro da buon responsabile di Produzione e stampa, tra un bicchiere e l’altro, faceva i conti. E anche mia mamma Giuliana: dei bicchieri da lavare, e dei vuoti da buttare.

Ore 10, viale Cesare Pavese EUR: l’ufficio era brutto forte. Di vetro e cemento.

E peggio di tutto, con un centro commerciale sotto, ed il famoso ‘Palo della Morte’ col teschio ‘Chi tocca i fili muore’ di Un sacco Bello di Verdone all’orizzonte, dietro i prati tristi della periferia di Roma sud, verso la Cecchignola.

Magari apparisse la Pantera…

“A Sté che ce tocca fà oggi?

Pampers, o un Concessionario Renault?”

Stefano Palombi, anzi stefano MARIA palombi, era un giovane copywriter a inizio carriera, che sarebbe diventato poi, chi l’avrebbe detto? (“io!”) il copy più premiato e più seguito da generazioni di creativi. Autodidatta. Braccia strappate alle molotov, all’antifascismo militante, alla Curva Sud e alle scritte sui muri, stava là. Davanti a me. Dall’altra parte del tavolo come è di regola in ogni brava coppia creativa che non si rispetti.

“Pampers…pampers. Ce tocca.”

“Beh, meglio che l’adesivo per dentiere di ieri”.

“Sé… Meglio della Valeriana Farmades di domani.”

Cazzo! La Valeriana Farmades. Come dimenticarla?

Dovevamo girare il primo spot della nostra vita:

un piccolo passo per l’umanità. Un grande passo per noi creativi in erba.

In erba, nel senso che il mese prima avevamo clandestinamente donato parte della nostra giornata lavorativa ai nostri giovani ex-compagni di università:

“Segnali di Fumo.”

Chiamamola così, disse il Palombi.

Ed io feci il Logo, con la Foglia di Canapa, seminata dal pollice verde sempre di mamma Giuliana sul vaso del balcone in cucina. Il manifesto annunciava la prima ‘Spinellata di Massa’ sotto la Prefettura di Roma, contro la Legge Vassalli – Jervolino: quella che criminalizzava l’uso dell’innoqua erba, che i latini chiamavano cannabis indicaca. (Ancor prima di scoprirla).

Ma cambiamo erba: torniamo alla Valeriana.

“Domani dobbiamo andare a incontrare il regista. Un grande regista. Moraldo Rossi.”

Disse Fabrizietto Conte (producer…pure lui, ma di TV).

“Moraldo che?” dicemmo noi.

“Moraldo Rossi. Il piccolo grande aiuto regista di Fellini. Fin dai Vitelloni!

Ignoranti”.

Io e Stefano…muti.

Quel giorno sui pannolini Pampers Boys & Girls, non riuscivamo proprio a concentrarci.

Io pensavo a tutti i Boys, ma soprattutto a tutte quelle Girls che, mentre io e Stefano stavamo rinchiusi a pensare nel palazzo di vetro e cemento all’EUR, si preparavano a passare la notte all’Università:

“Sté. Forse domani occupano”.

“Chi?”

“Gli studenti. Domani c’è l’assemblea cittadina a Lettere. Mi sa che domani votano se occupare l’Università. A Palermo sono già in occupazione da prima di Natale. Un po’ tutte le facoltà si stanno mobilitando contro la ‘Riforma Ruberti’…”

“ E che vuole fare ‘sto Ruberti?” Chiese Stefano.

“ Vuole privatizzare le Università: con la scusa della carenza di fondi, e di rendere gli studi meno ‘accademici’ e più’ professionalizzanti’ vuole introdurre i Privati nella Ricerca, le imprese nelle Università Pubbliche”.

“Bel casino. Fanno bene a occupà. Come noi nel’77”.

“Sé… e noi quà, a pensare ai pannolini”.

“Noo. Alla Valeriana. Ciccio Pupazzo!”

Ah già…azzzzzz”.

Mumble. Mumble. Mumble.

“Senti Sté, ma… se io ti dicessi che ‘Già la vita è troppo nera.

Non cacciate la Pantera…’ tu che mi diresti?

“Che ‘Segnali di Fumo’ era ‘bbono”.

“No. Sté. A parte gli scherzi. Tu che ne pensi della Pantera?

“Che spero proprio che non la prendano. Che è bello sapere che c’è. E che nessuno riesce a ingabbiarla. Mi piacerebbe essere lei”.

“A me piacerebbe essere all’Università adesso. Non ci riesco a lavorare pensando che potremmo essere là con loro. Non potemmo fare una campagna per il Movimento? Invece che per la Valeriana?”

Gli studenti.

La Pantera…

“Ieri sera con Camillo e Leandro, si cazzeggiava, sulla Pantera che gira. Abbiam fatto un po’ di rime baciate: “la Pantera non fa primavera.” Si pensava di fare delle magliette. Degli adesivi…

Ma se unissimo la Pantera col Movimento?

In fondo tutti e due sono sbucati dal nulla. Tutti e due sono liberi, attraenti… e a rischio gabbia.”

“O gabbio”.

“A Sté. Tu ne sai qualcosa, eh?”

“Senti questa Fà: ‘Notte e giorno. Giorno e sera. Morde e fugge la Pantera.”

“Bella Sté. Ma non è molto politico…”

Allora questa‘La Pantera arriva oibòh. Scappa Craxi nello zoo”.

“E Ruberti?”

“La Pantera ha gli occhi aperti. Dove scapperà Ruberti?”.

A fine mattinata erano almeno 10 slogan in rima baciata, freschi freschi.

Ma Stefano, pensava ancora. Come al solito. Non si accontentava.

Bisognava trovare un claim, un titolo, che riuscisse ad unire in maniera originale e semplice da un lato l’immaginario studentesco, il sentirsi parte di un movimento in nascita, e dall’altro l’identificazione collettiva, profonda ed eccitante di ognuno/a di noi con il felino imprendibile, astuto e alieno.

E Stefano scrisse:

LA PANTERA SIAMO NOI”.

Stefano Palombi e Ciccio Ferri

Trasferibili Letraset (il computer, ancora non si usava!): Futura Extra-Bold Condensed Italic.

Ce n’era un foglio quasi nuovo, e poi serviva un carattere ben leggibile e dinamico.

Anche se non elegantissimo…

Io tenevo da sempre nella libreria un vecchio libro di Aulo Plauzio, mio padre, sulle Black Panther. Risaliva a quando avevo 6 o 7 anni. Uno dei Loghi militanti più belli della storia.

Perché non farlo rivivere per una giusta causa, qui in Italia, per difendere la formazione pubblica, di massa e di qualità?

Messa sotto il titolo di Stefano, la Pantera faceva la sua bella figura.

Un corto circuito fra passato e presente, fra storia recente e cronaca (nera come la Pantera).

Ore 18.

Finisce la giornata di Lavoro. I colleghi se ne vanno, inizia la partita di calcio-balilla, o calcetto, o biliardino di rito: io sono alla fotocopiatrice. E in difesa. Palombi, all’attacco: Gooool!!!

200% ingrandiamola ‘sta Pantera: da A4 ad A3.

Esce la prima Fotocopiona, made in ufficio, fuori orario, che ruggisce:

LA PANTERA SIAMO NOI.

Firmato: Movimento Studentesco Romano.

Quante: 50?

Ma facciamo 100…

Sì, dài: già che ci siamo, esageriamo!

Ed escono dalla fotocopiatrice, una Pantera dopo l’altra, le 100 fotocopie che sconvolsero La Sapienza. E non solo.

“A Sté. Domani c’è l’Assemblea Cittadina alla Sapienza interfacoltà, alle 10 a Lettere.”

“A Fà, ma noi dobbiamo andare da Moraldo.

Moraldo Rossi: la Valeriana Farmades!”

“Dove abita?”

“A via La Spezia”.

“Perfetto. Io parto prima in motorino, passo alla Sapienza, vado a Lettere, mollo le fotocopie della Pantera, e vi raggiungo”.

Se va tutto come spero, domani ci saranno i giornalisti. I compagni della Commissione Stampa mi hanno detto che hanno invitato anche il TG3. Speriamo che mandino una troupe. Delle telecamere.

Che qualcuno inquadri il Logo. Poi i media e gli studenti faranno il resto. O no?

La formula chimica mediatica era innestata.

Se si accenderà spontaneamente, se il fiuto e l’istinto felino non ingannano, domani il contagio si allargherà.

Il fuoco si spande.

Il Virus contagia.

Il domino casca.

…Fatevi la metafora del cavolo che preferite.

Eravamo nel 1990, più di 10 anni prima che nel lessico pubblicitario si parlasse di Campagne “Viral” sul web, o di “Guerrilla” advertising.

Eravamo ancora nell’era cartacea, del Fax.

I computer erano appena arrivati.

Internet era nell’aria.

La rete, nel mare.

I piedi, per terra.

La testa, fra le nuvole.

*Stefano Maria Palombi: Copywriter, e Fabio Ferri: Art Director, sono la coppia creativa autrice del Logo “La Pantera Siamo Noi”. 1990.