La pandemia usata dai governi per comprimere i diritti umani e i diritti umani garantiti a tutti come vettore per uscire dalla pandemia. È un po’ questo il senso del Rapporto 2020-2021 presentato ieri da Amnesty International (Ai). 560 pagine dense, che raccolgono il lavoro della Ong a livello globale, dall’Afghanistan allo Zimbabwe. Filo rosso tra situazioni molto diverse: il Covid-19 ha colpito più duramente i gruppi sociali marginalizzati già prima del virus.

«Tempi senza precedenti obbligano a dare risposte senza precedenti e richiedono leadership fuori dal comune», scrive nell’introduzione Agnès Callamard, segretaria generale di Ai. Ma subito dopo aggiunge: «Nel 2020 una leadership globale non è emersa da potere, privilegio o profitti. È arrivata invece da infermieri, dottori e operatori sanitari in prima linea per salvare vite umane. Da chi si è preso cura delle persone anziane. Da tecnici e scienziati. Da chi ha lavorato per fornire cibo a tutti noi».

E allora colpisce un numero: in 42 dei 149 paesi monitorati sono state documentate vessazioni delle autorità contro operatori sanitari e lavoratori essenziali. Abusi che comprendono arresti e licenziamenti «contro chi ha sollevato problematiche riguardanti la sicurezza o le condizioni di lavoro» e hanno colpito soprattutto le donne. Insieme ai risvolti del Covid-19 l’Ong mostra sul campo gli effetti dei fenomeni strutturali che affliggono le vite di centinaia di milioni di persone: crisi climatica, violenza di genere, tagli ai servizi pubblici, repressione del dissenso.

La presentazione italiana del rapporto si è aperta citando Patrick Zaki, contro cui continua l’accanimento del regime egiziano, e Nancy Porsia, giornalista intercettata con altri colleghi nell’inchiesta contro le Ong del Mediterraneo. Emanuele Russo, presidente di Ai Italia, ha accusato i leader dei paesi più ricchi di «aver fatto scempio della cooperazione globale» nel contrasto sanitario del virus. Riccardo Noury, portavoce della Ong, ha sottolineato l’uso della pandemia per aumentare le politiche illiberali di Orbán in Ungheria, Duterte nelle Filippine e Bolsonaro in Brasile e ha ricordato le stragi in Myanmar, dove si usano anche armi italiane (come denunciato da il manifesto), e nella regione del Tigray in Etiopia. Giulia Groppi (Ai Italia) ha quantificato le disparità tra stati nelle somministrazione dei vaccini e ribadito che solo attraverso uno «sforzo coeso che metta al centro i diritti umani» sarà possibile davvero battere il Covid-19