Oggi in molte città d’Italia, associazioni, organizzazioni, parlamentari, persone, saranno nelle piazze per dire no all’annessione coloniale israeliana, annunciata per il primo luglio dal governo Netanyahu, del 30 percento del territorio occupato palestinese, compresa la Valle del Giordano che fino agli anni ’80 era considerata il «cestino del pane» dell’economia palestinese.

Un no all’occupazione militare, all’apartheid, al razzismo praticato da Israele. E sì al riconoscimento dello Stato di Palestina, ad applicare la legalità internazionale e il rispetto dei diritti umani violati ogni giorno da Israele con la complicità della Comunità Internazionale che lascia Israele impunita per le continue violazioni e l’oppressione del popolo palestinese, mentre dovrebbe imporre sanzioni, non vendere armi, sospendere l’accordo di associazione Unione europea-Israele. Ma questo si fa solo con la Russia o con l’Iran. Il solito due pesi e due misure.

Le manifestazioni di oggi, promosse dalla Comunità Palestinese in Italia, con AssoPacePalestina che si è impegnata in tutte le città nelle quali è presente, ha visto l’adesione di centinaia di associazioni e organizzazioni. Ne cito solo alcune: Rete della pace e del disarmo, Cgil e Fiom nazionali, Arci, Fondazione Basso , sindaci come Orlando e De Magistris, parlamentari di Leu, del Pd, del M5s, partiti della Sinistra Italiana, artisti e intellettuali, per tutti Moni Ovadia, il già presidente del Consiglio Massimo D’Alema e molti altri.

Da lungo tempo la questione palestinese è stata messa all’angolo. Si dice che ci sono troppi problemi nell’area mediorientale, Siria, Libia, Iraq, le fallite primavere arabe, senza assumersi le responsabilità per aver fatto le guerre (con i profughi che ci dicono: «Siamo profughi delle vostre guerre») e per non aver risolto la questione della libertà e l’autodeterminazione del popolo palestinese, che dal 1948 ha vissuto la Nakba, la pulizia etnica della Palestina, l’oppressione giordana ed egiziana, dal 1967 il tallone di ferro dell’occupazione militare israeliana. E fino a oggi, oltre alla confisca di terra e risorse acquifere, con la costruzione di colonie sperimenta una «deportazione lenta».

Il silenzio dei media è assordante, tranne alcune coraggiose voci di giornalisti, ma non è solo il provincialismo dei media italiani, è connivenza e complicità, è buttare via l’etica del giornalismo e subire i ricatti di una hasbara (propaganda) israeliana che accusa di antisemitismo ogni voce che si leva non certamente contro gli ebrei, ma contro una politica israeliana che oltraggia l’ebraismo con il nazionalismo messianico che in questi ultimi anni si è affermato in Israele. Molte sono le voci contro l’annessione, in Israele e nel mondo ebraico, dal mondo politico, da giuristi e studiosi.

L’unità e l’adesione di tante forze politiche e sociali alle iniziative di oggi, contro l’annunciata annessione dei territori che calpesta ogni diritto internazionale – così come ha fatto Trump con il trasferimento dell’ambasciata a Gerusalemme e il progetto «Affare del Secolo», insieme all’inazione dell’Europa e del nostro governo – è un inizio affinché la solidarietà con la Palestina esca dai ghetti dei gruppi che hanno fatto della libertà per la Palestina il loro essere e diventi di nuovo patrimonio di tutti i movimenti che hanno al loro centro la difesa dei diritti per tutti e tutte. E che sia un monito per le forze politiche che si dicono democratiche affinché tornino all’impegno per il rispetto del diritto internazionale.

*Presidente AssoPacePalestina