È ufficiale. Tra meno di tre mesi la Palestina si unirà alla Corte Penale Internazionale. Sono risultati in ordine i documenti presentati venerdì scorso al Palazzo di Vetro dall’ambasciatore palestinese Riyad Mansour e, ieri, il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-moon, ha annunciato che lo statuto per la Palestina entrerà in vigore alla Cpi il 1 aprile 2015. «(Ban Ki-moon) ha accertato che i documenti ricevuti dall’osservatore permanente della Palestina alle Nazioni Unite relativi all’adesione a 16 trattati, incluso lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, sono in debita forma», ha comunicato l’ufficio del Segretario generale.

Non si torna indietro. Ma la mossa palestinese non è ostaggiata solo da Israele – che ha già congelato il trasferimento all’Anp di Abu Mazen di 127 milioni di dollari palestinesi – ma anche dagli Stati Uniti. Non appena ieri è giunto l’annuncio che la Palestina si unirà alla Cpi, Washington ha fatto sapere che riesaminerà il pacchetto annuale di finanziamenti da 440 milioni di dollari. Lo stesso governo israeliano, nei giorni scorsi, aveva fatto sapere che si sarebbe rivolto ai suoi (numerosi) amici nel Congresso Usa per interrompere il flusso di fondi americani ai palestinesi. L’adesione della Palestina alla Cpi non comporta sanzioni automatiche da parte di Washington ma ogni denuncia contro Israele presentata dall’Anp darebbe il via al taglio immediato di finanziamenti Usa.

Abu Mazen ha firmato i documenti per l’adesione alla Cpi il giorno dopo che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha respinto (30 dicembre) la risoluzione palestinese che fissa un termine di tre anni per il ritiro di Israele dai Territori occupati di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est e per la creazione di uno Stato palestinese. A spingere il presidente dell’Anp a compiere un passo tanto atteso e desiderato dalla sua gente ma ripetutamente rinviato, sono stati diversi motivi. La necessità, ad esempio, di dare uno scossone al presidente Barack Obama che all’inizio del suo primo mandato aveva promesso un approccio diverso alla questione mediorientale, alimentando forti speranze tra i palestinesi. E che poi ha fatto retromarcia per adeguarsi alla linea dei suoi predecessori, ossia non esercitare reali pressioni sull’esecutivo israeliano per spingerlo a rispettare le risoluzioni internazionali per i Territori che lo Stato ebraico ha occupato nel 1967. Lo stesso atteggiamento debole e rinunciatario ha poi mantenuto anche il Segretario di stato John Kerry, durante i nove mesi di mediazione tra israeliani e palestinesi terminati lo scorso aprile senza alcun risultato.

L’atteggiamento, spesso sprezzante del premier israeliano Netanyahu e di alcuni dei suoi ministri verso le autorità palestinesi, unito al rilancio di una massiccia colonizzazione ebraica della Cisgiordania e di Gerusalemme Est, hanno fatto il resto. Allo stesso tempo Abu Mazen è sotto una forte pressione interna, spinto ad agire con più decisione nei confronti di Israele, specie dopo i 50 giorni dell’offensiva militare “Margine Protettivo” contro Gaza di luglio e agosto 2014 e le tensioni nei luoghi santi islamici a Gerusalemme. Deludente per molti palestinesi è anche il testo della risoluzione respinta a fine anno dal Consiglio di Sicurezza, emendato ed indebolito troppe volte su ordine del presidente dell’Anp, per tentare (invano) di aggirare la minaccia di veto fatta dagli Stati Uniti.

L’ultimo, la scorsa estate, dei tre attacchi in sei anni contro Gaza sarà il punto principale del procedimento che i palestinesi chiederanno alla magistratura internazionale di avviare Israele, assieme alla colonizzazione dei Territori occupati. Un’indagine della Cpi potrebbe anche portare a possibili accuse di crimini di guerra contro i palestinesi – su questo batte il premier israeliano Netanyahu – ma l’ambasciatore Mansour ha detto che i palestinesi non temono ripercussioni e non si lasceranno intimorire.

La Corte Penale Internazionale è stata creata per perseguire gli autori di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e il genocidio. In un comunicato diffuso lunedì scorso, i suoi giudici ha spiegato che accettare la giurisdizione della Cpi non attiva automaticamente un’indagine. Il procuratore Fatou Bensouda perciò dovrà verificare se i palestinesi hanno rispettato i criteri previsti dallo Statuto per l’apertura di un’inchiesta.