Sfidare l’occupazione con l’educazione e la resistenza non violenta. È la missione degli abitanti di At-Tuwani e dei villaggi palestinesi che si trovano alle porte del deserto del Negev sotto continua minaccia di sfratto e esproprio delle loro terre attuata con sistematica crudeltà da parte dei coloni supportati dall’esercito israeliano.

DA QUANDO, soprattutto, intorno al 2010, è sorto il nuovo avamposto illegittimo di Havat Ma’on sulla collina poco distante. Un’espansione contro la quale lottare pacificamente insieme a attivisti internazionali. La vita dei giovani e degli adulti di quel pezzo di terra da difendere era già stata raccontata da Nicola Zambelli e Andrea Paco Mariani in Tomorrow’s Land nel 2011.

Dieci anni dopo, i registi sono tornati per filmare nuovamente quelle persone e quei posti. Nel frattempo, erano nati il Sumud Freedom Camp e la Youth of Sumud per portare avanti la militanza pacifica.

Chi era bambino è ora un giovane uomo o una giovane donna che si confronta e scontra con una realtà per nulla cambiata, anzi peggiorata dalle aggressioni dei coloni armati. Ma l’impegno a difendere la propria terra non conosce sosta, e se una devastazione arriva (come si legge nelle didascalie finali) si diventa ancora più forti e determinati a ricostruire quello che è stato distrutto.

PERCHÉ, come afferma Sameeha, ragazza che esprime le sue convinzioni con una pacatezza che contiene un’incrollabile fede nella giustizia, «se anche il Sumud Freedom Camp finirà o verrà sgomberato (come è accaduto a maggio del 2021, ndr), resterà il nostro ideale. Youth of Sumud è un’idea e questo ideale non si fermerà qui». Il risultato di questa indagine sul campo è Sarura – Il futuro è un luogo sconosciuto, potente ritratto di una comunità e delle sue aspirazioni a vivere in pace senza la permanente ostilità incendiaria dell’occupante.

Il titolo fa riferimento alle grotte di Sarura che i giovani stanno cercando di ristrutturare e dentro le quali il film inizia: il buio, le candele accese, le lampade, le persone lì radunate. Quell’incipit è una dichiarazione d’intenti: filmare dall’interno, stare accanto alla popolazione, osservare con discrezione e partecipazione quel che accade, i gesti, le riunioni, le attività quotidiane, il dialogo impossibile con i coloni e i soldati. Lo sguardo di Zambelli restituisce tutta la tensione, l’ostinazione, la perseveranza di chi rivendica il proprio posto sulla Terra.

E va oltre assumendo una posizione teorica nella sua pregnanza politica. Durante la prima visita la videocamera era stata data nelle mani dei ragazzi che si erano filmati, avevano «giocato» con il mezzo, parlando di sé, mentre in lontananza si assisteva alla costruzione della colonia. Alcune di quelle immagini sono inserite in Sarura. Il passato dialoga con il presente creando una continuità spazio-temporale e un riflesso tra ieri e oggi, una visione speculare. I giovani si rivedono bambini, le immagini a tutto schermo si alternano a quelle di formato più piccolo o provenienti da altri dispositivi.

NEL COMPITO di difesa della propria terra un ruolo fondamentale lo rivestono i pastori che portano le loro greggi nei campi al fine di impedire che altri terreni vengano confiscati. E fa impressione vedere il percorso che i bambini devono compiere per arrivare alla scuola, «scortati» dai militari israeliani per evitare attacchi dei coloni.

Poema per immagini, a sua volta testimonianza di un cinema resistente e necessario, Sarura sta compiendo un tour in molte sale italiane grazie alla piattaforma Open DDB – Distribuzioni dal Basso sul cui sito si trova il fitto calendario e la possibilità di richiedere l’organizzazione di una proiezione.