Nella guerricciola tra «alleati» la Lega ha lanciato la bomba. Il sottosegretario al lavoro, il leghista Claudio Durigon, ha fatto sapere sui giornali al suo ministro – il vicepremier Luigi Di Maio – che la Lega intende presentare una proposta di legge per modificare uno dei totem del movimento Cinque Stelle: il «decreto dignità». Apparentemente nulla, fino a quel momento, sapevano gli alleati con le stelle. E infatti Durigon si è premurato di informarli che loro, i leghisti, «stiamo studiando una serie di interventi», ma «andremo avanti d’intesa con gli alleati». Un modo per portarsi avanti con il lavoro: anticipare agli interessati quello che, fino a ieri, avevano mostrato di non sapere. Un regalo non proprio gradito, nelle ore in cui tra Palazzo Chigi e il ministero dell’Economia, stanno cercando la quadra tra una flat tax per cui non c’è spazio di bilancio e il rigore dei conti che il governo dice di volere rispettare.

I leghisti hanno proposto un disegno di legge che allenta la stretta sui contratti a termine (la prima «causale» scatta dopo 12 mesi, i contratti durano 24 mesi e non 36). In più vorrebbero riconoscere ai contratti collettivi la possibilità di definire nuove causali. Ai sindacati «più rappresentativi» sarebbe attribuito il ruolo di individuare, con le aziende, le «formule migliori per poter utilizzare ancora il lavoro flessibile». Temi che intrecciano quelli apparecchiati sull’altro tavolo del salario minimo in cui si dovrebbe discutere anche su una legge sulla rappresentanza. Nello specifico, sempre che siano questi i contenuti del disegno di legge, si chiederebbe ai sindacati di co-decidere il periodo di tempo supplementare di precariato. Per poi arrivare al punto attuale: assumerli o licenziarli, in un continuo turn-over. Annunciando l’iniziativa Durigon ha sostenuto che si tratta di «intervenire su alcune piccole zone d’ombra che, inevitabilmente, si sono manifestate dopo un anno. C’è stato un leggero aumento del turn over rispetto alle stabilizzazioni: in alcuni casi, alla fine di un contratto a termine, le aziende hanno preferito prendere un’altra persona sempre con un contratto a termine invece di trasformare quello stesso rapporto di lavoro in uno a tempo indeterminato». Se da un lato, la manutenzione ai contratti a termine ha provocato un balzo delle conversioni dei tempi determinati in indeterminati (a marzo, il saldo tra attivazioni e cessazioni di contratti stabili è stato di +241 mila contro il +106 mila dell’anno precedente); dall’altro lato, la sostituzione dei precari con altri precari potrebbe essere in atto. «I dati non parlano nemmeno di un eccesso di turn over. Più sensata sarebbe l’introduzione del diritto di precedenza per i lavoratori in servizio» ha detto l’altro sottosegretario al lavoro, il pentastellato Claudio Cominardi. I dati, al momento, sono di difficile reperibilità, ma va anche detto che il ritmo delle conversioni potrebbe decrescere e che comunque i contratti a termine restano maggioritari – 3 milioni 442 mila contro 1 milione 248 mila (senza articolo 18) – nel perimetro del lavoro esistente. Questo significa che l’aumento del numero dei contratti a tempo indeterminato non è il prodotto di «nuovo» lavoro, ma di una riqualificazione contingente del lavoro esistente in un paese che ha uno dei tassi di occupazione più bassi: 58,8%.

Per i sindacati ogni intervento sul «decreto dignità» va concordato. La Cgil ha delineato le principali criticità che rendono debole il decreto: la mancata scelta di apporre la causale fin dall’inizio del contratto; l’assenza di una causale per picchi programmabili; l’impossibilità di affidare alla contrattazione nazionale una declinazione delle causali concordata. La Cisl è favorevole all’ipotesi di dare un ruolo alla contrattazione collettiva nella definizione delle causali: permetterebbe una «flessibilità socialmente controllata utile a conciliare le esigenze aziendali con la tutela dei lavoratori» sostiene il segretario generale aggiunto Luigi Sbarra.

Di Maio non ha preso benissimo l’intemerata del sottosegretario leghista e, in pratica, gli ha dato del «renziano». «Il decreto dignità non si tocca – ha detto – Chi rivuole ampliare la portata dei contratti a termine, sottopagando i lavoratori e altro, può rivolgersi a Renzi. Il Jobs Act è stata una delle peggiori legge mai fatta negli ultimi 20 anni». C’è solo un problema: il governo non ha intaccato la logica del Jobs Act. L’ha solo rallentata.