La trovata è brillante. Il Quirinale l’ha utilizzata per i presidenti rifluiti frattanto tra i senatori a vita, e lo stesso ha fatto la Corte costituzionale per i propri fu. «Presidenti emeriti», non semplici ex, secondo un uso accademico già tracimato nel grottesco.

Vuoi mettere la possibilità di continuare a fregiarsi dell’antico titolo? Un fatale attributo e il gioco è fatto. Il ruolo, preservato; il tempo, neutralizzato. Una genialata, direbbe qualcuno.

L’idea è assai garbata anche oltretevere e la Chiesa l’ha fatta sua, imbarazzata per l’inedita presenza di due papi, l’uno in carica, l’altro dimissionario ma ancor biancovestito. Di essere papi non si cessa finché si è in vita. Quindi, «papa emerito»: per non dire fu-papa o ex, che proprio non sarebbe il massimo.

E però si sa come vanno le cose umane. L’invidia è una pianta ben diffusa, e poi c’è da capirli questi ex o fu Grandi e Grandicelli: quanta malinconia nel ritrovarsi nell’ombra dopo tanto potere e tanti fasti.

«Insomma – deve aver pensato un ex-fu-presidente della Camera – perché non anch’io? Tanto più che è ancora una ferita aperta quella mancata elezione alla Corte costituzionale, trenta volte agognata, trenta volte negata, proprio un’ingiustizia». Così la schiatta degli emeriti si è presto ingrossata: presidenti emeriti del Senato, presidenti emeriti della Camera dei deputati, persino presidenti emeriti delle Camere di commercio… un vero trionfo!

Un emeritato, ed è fermata la ruota del tempo, riesumata la gloria perduta, graziosamente concessa una patente di immortalità. Altro che rottamazione: nel paese dei balocchi mancano ormai all’appello soltanto i presidenti del Consiglio emeriti, e speriamo giungano presto. A cominciare da un certo rampante statista di Rignano.