«L’epicentro dello scontro è l’Europa, teatro di ingerenze politiche e ricatti economici, ma il fronte si estende dall’Estremo Oriente al Golfo Persico». L’orizzonte cui guarda è necessariamente globale, ma non è forse un caso se nell’anno che segna il trentennale della caduta del Muro di Berlino, Maurizio Molinari torna a guardare al Vecchio continente come allo scenario prioritario nel quale sta prendendo corpo quella che non esita a definire come la «seconda guerra fredda».

IN Assedio all’Occidente. Leader, strategie e pericoli della seconda guerra fredda (La nave di Teseo, pp. 238, euro 18), Molinari prosegue l’indagine iniziata lo scorso anno con Perché è successo qui – una riflessione sull’affermazione nostrana del nazionalpopulismo -, ampliando il suo raggio d’azione. Se in quel caso la minaccia alla democrazia prendeva forma, a suo giudizio, come conseguenza dell’«impatto che diseguaglianze, migrazioni e corruzione hanno su una moltitudine di cittadini»,

in questo nuovo volume si tratta di definire i contorni della crisi in pieno svolgimento sullo scenario internazionale «sulla scia delle ferite della globalizzazione». Nel libro – che l’autore presenterà oggi a Roma (alle 18 al Tempio di Adriano in Piazza di Pietra) -, la sfida per l’Europa ha il volto della Russia di Putin e della Cina di Xi, come anche della Turchia di Erdogan, più che quello di Trump come si sarebbe portati a credere anche solo guardando all’affaire dei dazi, ma si nutre anche del «mosaico di sovranisti e populisti» che minacciano dall’interno le già malandate democrazie del Vecchio continente.

PER RISPONDERE a chi vorrebbe trasformare l’Europa in un terreno di conquista, e ai loro alleati in loco, sembra aggiungere Molinari, le risorse vanno però cercate oltre il vocabolario del conflitto e dei sistemi di difesa tradizionali, quanto piuttosto in «un arsenale di diritti capace di restituire vitalità ed energia al legame fra i loro cittadini e le istituzioni dell’Occidente».