Il nuovo strumento della UE è una delle cause della crisi di governo scatenata dal gruppo di Italia Viva; Renzi ha fatto delle critiche di merito e metodo sul Piano di Ripresa e Resilienza di Conte, le cui bozze precedentemente divulgate sono state sostituite da una versione approvata dal Consiglio dei ministri il 12 gennaio, e che adesso passerà all’esame del Parlamento. L’intero pacchetto di provvedimenti si chiama pomposamente Next Generation EU, per un totale di 750 mld di €, ma la maggior parte di essi riguardano lo strumento del Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza, che da solo presenta un bilancio di 672,5 mld. Il resto dei fondi riguarda ben sei programmi diversi.

Com’è noto il pacchetto comprende tanto prestiti per 360 miliardi (che devono essere restituiti) che sovvenzioni per 390 miliardi (da non restituire). La parte attesa per l’Italia dovrebbe essere di circa 209 mld in totale (sovvenzioni+prestiti). In realtà le cifre ballano, e se in estate girava questa cifra calcolando 81 miliardi in sovvenzioni, nel Nadef (Nota di Aggiornamento del Def, importante documento di finanza pubblica) la cifra totale scendeva a 205 mld con 64,5 mld di sovvenzioni. Il dibattito nell’opinione pubblica, un po’ sulla scia dei contrasti politici in seno alla maggioranza, si è incentrato sul Piano, cioè cosa si fa con i soldi e chi li controllerà (la famosa «cabina di regia», che pare attualmente non sia più all’ordine del giorno).
Considerevole minor attenzione hanno goduto i temi sui controlli esterni che tali finanziamenti comportano e sugli aspetti più strettamente finanziari, principalmente: da dove vengono i soldi?

Iniziamo dalle sovvenzioni. I 390 mld verranno chiesti in prestito dai mercati finanziari con l’emissione di titoli da parte della Commissione. La quale li elargirà secondo dei criteri corrispondenti, grosso modo, alla gravità della crisi economica (pil pro capite, disoccupazione, discesa pil reale). Ma come farà a restituirli? Per questo il bilancio settennale della Ue prevede un aumento dei contributi a carico degli Stati membri stessi. Ovviamente con una proporzionalità differente rispetto a quella della elargizione. Ma di quanto? Viste le variabili in corso esistono calcoli differenti su quanto ciascun stato riuscirà ad ottenere come saldo. Uno studio della Bce stima circa 35 mld per l’Italia. Ma ci sono altri studi più pessimisti.
Veniamo ai prestiti. Anche in questo caso la Commissione emetterà titoli per chiedere soldi in prestito al mercato dei capitali. Poi li presterà agli Stati secondo i termini di accordi stipulati coi diretti interessati. La opacità sulle condizioni (cosa comporta esattamente tale accordo? Quali conseguenza avrebbe?) ha determinato la riluttanza da parte di alcuni Stati membri a ricorrervi. Come la Spagna.

Nel piano di operazioni finanziarie sono cruciali i tassi d’interesse e le tempistiche. Se sul versante del rapporto con gli Stati si sa qualcosa (le restituzioni dovrebbero essere molto dilatate), non si sa nulla sull’eventuale piano di emissione da parte della Commissione. Sicuramente il pianeta finanza ha stappato lo champagne. La creazione di un emettitore così importante sarà un terremoto in un settore dove già i debiti pubblici galoppano e la offerta di titoli è in espansione. Ma saranno disponibili tutte le maturity (il tempo di scadenza: 1 anno, 5 anni, 10 anni…) che il mercato richiede? Si formerà un mercato secondario? Pare certo che l’emissione di asset sicuri (la Ue ha il massimo di rating) potrebbe essere funzionale alla fibrillazione del mercato finanziario europeo. Ma soprattutto: quale sarà il ruolo della Bce? Sarà un compratore significativo, soprattutto se gli investitori facessero boccuccia? Tante domande, poche certezze: che a dispetto delle illusioni la Ue agisce sempre coi soliti strumenti del capitalismo finanziario. E che i mercati non si creano sulla spinta di dinamiche spontanee: sono le istituzioni a crearle. Facendosi, occasionalmente, dominare da essi. La Next Generation è servita