Un tempo ci si sarebbe spinti a parlare di rendez vous dell’«internazionale nera». Oggi, più prosaicamente, si deve ragionare di un appuntamento della nuova destra che nel frattempo, particolare da non sottovalutare, si sta giocando una partita forse decisiva per l’egemonia sul piano globale.

CHE ALL’INDOMANI dell’affermazione elettorale del 25 settembre sia proprio il nostro Paese ad ospitare una tre giorni di incontri che sotto il titolo di «Italian conservatism» – all’Hotel Nazionale di Roma da domani a domenica, con decine di ospiti stranieri e altrettanti italiani – offre quasi una rassegna del pensiero reazionario da tutte le latitudini, può così consentire un primo tentativo di analisi delle idee su cui si è definita la strategia di Fratelli d’Italia. E su quelle che informeranno le scelte del governo guidato da Giorgia Meloni.

Tra gli organizzatori dell’evento, Nazione Futura, una sorta di think tank molto vicino agli eredi della fiamma. È stato accanto al presidente di Nazione Futura, Francesco Giubilei che alla vigilia del voto Vittorio Sgarbi ha lanciato un appello alla coalizione delle destre perché sfidasse anche sul terreno culturale i propri avversari. Ma, in mancanza di impegni precisi durante le elezioni – se si esclude la polemica su Peppa Pig -, proprio dall’appuntamento romano si può trarre qualche considerazione.

A cominciare dal modo in cui si deve intendere il perimetro delle forze in campo. O, per essere più chiari, di quale destra stiamo parlando davvero. Perché dal punto di vista strettamente politico, alla kermesse partecipano sia alleati europei di FdI, come il parlamentare dei Democratici svedesi, Mattias Karlsson, che esponenti degli spagnoli di Vox, entrambi appartenenti a Bruxelles al Gruppo dei Conservatori e Riformisti europei, Erc.

Accanto a loro interverrà però André Ventura, presidente del partito portoghese Chega, che in Europa fa parte di Identità e Democrazia, gruppo che riunisce anche Le Pen e Salvini. Folta poi la delegazione ungherese sia del partito del premier Orbán, il Fidesz, che del Danube Institute che svolge un lavoro di tessitura politico-culturale con le destre europee per conto del governo di Budapest.

SI ARRIVA COSÌ al secondo elemento di interesse del parterre dell’incontro. Dal 2017 al vertice del Danube Institute c’è infatti John O’Sullivan, un giornalista britannico già tra i collaboratori di Margaret Thatcher. Un conservatore «duro e puro» che non teme di sostenere la «democrazia illiberale» di Orbán, affiancare i post-post-fascisti di Meloni, ma anche figure che nel loro Paese hanno suscitato non poche polemiche, come il capogruppo della delegazione di Vox al Parlamento europeo Jorge Buxadé Villalba, approdato al partito di Santiago Abascal dopo una militanza nella Falange Española de las Jons, i nostalgici di Franco, e essere inciampato in alcune attestazioni di stima nei confronti di José Antonio Primo de Rivera che della Falange era stato il fondatore.

Sul terreno scivoloso della nostalgia sembra essersi mosso anche il politologo portoghese Jaime Nogueira Pinto, già aderente da adolescente al neofascista Movimento Jovem Portugal negli anni di Salazar e Caetano e indicato come uno dei punti di riferimento dell’estrema destra lusitana dopo il ritorno del Paese alla democrazia.

Così, se l’ex parlamentare dei Tory Daniel Hannan fu addirittura un antesignano della linea nazionalista che ha condotto la Gran Bretagna alla Brexit, lo storico belga David Engels, che insegna da tempo a Poznan in Polonia, è invece uno studioso di Oswald Spengler, le cui teorie sul «declino dell’Occidente» applica a quella che definisce come «la crisi irreversibile della Ue». Mentre il docente dell’Università di Dallas Gladen Pappin, «populista in economia e conservatore sul piano sociale» è uno dei fautori del «laboratorio culturale» che ha fatto del Texas una delle roccaforti della destra dura statunitense.

QUALE PROFILO IDEOLOGICO si può perciò trarre dal convegno romano? Difficile affermarlo con certezza, visto che è una coerenza stridente ad un’idea tradizionale di «conservatorismo» che emerge dal programma dei lavori. Del resto, viene da sorridere pensando che tra i partecipanti c’è anche l’europarlamentare Vincenzo Sofo, passato da Salvini a Meloni e che a Bruxelles fa parte della «delegazione per le relazioni con l’Afghanistan», dopo essere stato nel nostro Paese tra i fondatori del blog «Il Talebano».