La nuova «crisi delle banche» ci riporta ai nodi mai sciolti di un sistema finanziario globale sempre più disancorato dai bisogni reali e dall’economia che produce beni e consuma lavoro vivo. Mercati che, grazie all’informatica, macinano ad ogni frazione di secondo profitti e perdite, utilizzando la realtà solo come termine di riferimento per molteplici, e talvolta, inimmaginabili scommesse. Materie prime, cibo, guerra, clima. Tutto fa brodo per la speculazione, come si è constatato in questi mesi.

Le banche? Rappresentano il fulcro di questo sistema. C’è chi pensa ancora che le banche prendano i soldi dai cittadini per prestarli ad altri cittadini. La mitica «funzione di intermediazione» degli istituti di credito. Semmai, le banche creano dal nulla il denaro che danno in prestito e sono sempre più impegnate in investimenti ad alto rischio: la fonte di stratosferici profitti. Nel 2021, secondo i dati dell’Abe, duemila manager bancari europei hanno preso stipendi superiori al milione di euro. Ma non sempre le cose vanno bene. Ciclicamente, nel sistema tornano le falle. Sono le conseguenze di operazioni spregiudicate, di mancati controlli, di un uso smodato della cosiddetta «leva finanziaria». Giocare con soldi che non si hanno. Hyman Minsky avrebbe detto che le crisi sono sempre precedute da euforia e da una eccessiva propensione al rischio. Quella che è stata rinfocolata anche dalle politiche ultra-espansive delle banche centrali, le cui responsabilità non sono secondarie in questa ennesima vicenda di fallimenti e salvataggi. Un mare di soldi, finiti, tra l’altro, a gonfiare bolle sui mercati finanziari: la risposta alla crisi del 2007-2008. Anche allora innescata dalle banche e poi messa in conto ai cittadini. Un «colpo di stato di banche e governi», sentenziò Luciano Gallino: i salvataggi bancari fanno crescere il debito pubblico, che a sua volta diventa il pretesto per politiche anti-sociali.

I soldi per le banche ci sono sempre. Mica parliamo di fabbriche e di operai. O di percettori di Reddito di cittadinanza. In Italia, i salvataggi effettuati negli ultimi anni sono costati oltre 36 miliardi di euro allo Stato ed al sistema. Nuovo debito pubblico, risorse sottratte allo stato sociale, alla sanità, alla scuola. Ieri Christine Lagarde ha fatto sapere invece che la Bce fornirà alle banche tutta la liquidità di cui avranno bisogno. I rubinetti si chiudono solo per strozzare i consumi e gli investimenti, per quanto languidi, vista l’inflazione.

Dopo la crisi dei subprime, si sarebbe dovuto mettere seriamente mano al sistema, con regole più stringenti per i bilanci bancari e le operazioni di ingegneria finanziaria. Ci aveva provato, timidamente, Obama: investimenti delle banche in derivati non superiori al 3% delle loro attività, separazione tra attività commerciali e attività di investimento, una prima regolamentazione delle cartolarizzazioni e delle agenzie di rating (eliminare conflitti d’interesse). Ma poi alla Casa Bianca è arrivato Trump, e le lancette dell’orologio sono state riportate a prima della crisi. Nuova ondata di liberalizzazioni e smantellamento delle regole esistenti, minori requisiti di capitale per la copertura delle esposizioni creditizie. Il resto sono i guai di questi giorni. Silicon Valley Bank e dintorni, con la Fed costretta ad iniettare nelle banche, per ora, 300 miliardi di dollari.

In Europa, i provvedimenti adottati dopo la crisi del decennio scorso sono stati non solo poco incisivi ma anche contraddittori. Da un lato si è tentato di mettere ordine nella giungla dei derivati, dall’altra si è investito nelle cartolarizzazioni, valutate come uno strumento per «distribuire il rischio nel sistema ed aiutare a liberare i bilanci dei cedenti per consentire ulteriori prestiti all’economia». Spalmare i rischi e mettere le banche nelle condizioni di creare più denaro, alleggerendo i propri bilanci. Tutto ciò che ha reso in questi anni il sistema più fragile ed esposto alle crisi.

Un sistema nel quale è maturato il caso Credit Suisse, che adesso, nonostante il salvataggio lampo via Ubs (ancora gigantismo bancario), rappresenta un pericoloso focolaio di infezione per il settore bancario nel suo complesso.