Si chiama Alitalia-Ita e il nuovo suffisso la tratteggia come una compagnia aerea perfino più piccola dell’ultima versione della vecchia Alitalia. I tre miliardi di nuovo capitale fornito dal governo – di fatto nazionalizzandola – non mettono le ali ad un progetto che nasce di piccolo cabotaggio invece di utilizzare il buco nero del Covid per rilanciarsi in un mercato aereo che sarà completamente diverso.
Dopo mesi di attesa il piano industriale della nuova ditta lottizzata Lazzerini-Caio (l’ad in quota Pd, il presidente in quota M5s) viene annunciato in consiglio di amministrazione con cifre ancora più basse di quelle annunciate.

Per «il primo anno dell’avvio delle operazioni» previsto da aprile in poi solo «61 rotte servite, 52 aerei in flotta, fra 5.200 e 5.500 persone assunte nella nuova compagnia», spiega Lazzerini.

Lo schema è lo stesso utilizzato per l’ex Ilva. Si parte con metà dipendenti e si promette di riassorbirli entro 5 anni. Nel frattempo rimarranno nella vecchia Alitalia in cassa integrazione. Lazzerini è ottimista: «Gli obiettivi Ita al 2025 prevedono 3,4 miliardi di ricavi, 93 rotte, un ebit del 7%, 80 aerei di nuova generazione e 9.500 dipendenti». Ma si tratta di una previsione da astrologo al tempo del Covid.

PEGGIORATIVO RISPETTO all’ex Ilva è invece lo spezzatino con divisione in tre società, seppur tutte detenute pienamente. «Il piano prevede due aziende separate una per l’handling e una la manutenzione, che saranno entrambe possedute inizialmente (sic) al 100% dalla holding dove ci saranno tutte le operazioni di volo, di staff e di corporate governance. Lo facciamo per avere due aziende che siano molto efficienti e che abbiano l’ ambizione di uscire dal perimetro di servire la nuova compagni, ma possono giocare un ruolo sul mercato anche nei confronti delle altre compagnie», promette.

Niente dice il piano sulla necessaria alleanza, tema irrisolto dai tempi della cordata guidata da Fs, con Delta da una parte e Lufthansa dall’altra come alternative entrambe indigeste.

Un piano che trova subito la risposta negativa dei sindacati. «Non è condivisibile in quanto assolutamente inaccettabile per noi», scrivono in una nota unitaria Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti e Ugl, evidenziando che «con poco più 50 aerei si va verso l’avvio di una mini compagnia, contraddistinta da un piano insoddisfacente da tutti i punti di vista, industriale ed occupazionale. Si riducono – spiegano i sindacati – i collegamenti, soprattutto il lungo raggio, le attività di volo. Sparisce dal piano il cargo e ci sono inevitabili riflessi sulle attività di manutenzioni e sui servizi di handling».

LA CHIAMATA IN CAUSA per il governo proprietario è la naturale conseguenza: «Serve più coraggio da parte dell’azionista Mef – chiedono i sindacati – per dare un indirizzo chiaro al cda e all’ad visto che i 3 miliardi, investiti dal governo sono stati stanziati per rilanciare Alitalia e tutto il trasporto aereo, non per licenziare. Non si può sprecare questa occasione unica ed irripetibile per un rilancio vero e duraturo della compagnia che, nelle intenzioni di tutti, deve tornare ad essere un asset strategico competere con le altre compagnie europee. La base di partenza rimane la salvaguardia di tutti i posti di lavoro attraverso un piano di sviluppo», concludono.

Lazzerini, sollecitato in conferenza stampa sulla reazione dei sindacati, parla di un loro «commento assolutamente legittimo sulle preoccupazioni in termini di occupazione, che sono preoccupazioni che abbiamo anche noi» spiegando che «bisogna avere un approccio graduale» perché solo «le aziende profittevoli assorbono occupazione».

La settimana prossima è previsto un incontro con i sindacati.