Prendo le mosse da due immagini, una pittura ed una fotografia. Un interno dai colori smorzati, chiari: dal canto d’una parete che segna verticalmente il bordo sinistro del dipinto ci appare, come incedesse da una quinta casalinga, in una sua sobria veste di cotone bianca. I capelli neri, pettinati a ricadere raccolti sulla spalla destra, delineano una curva continua che dalla fronte, lungo la guancia, giunge alla base del collo. L’ovale del giovane volto, gli occhi, le palpebre appena velate d’ombra, il rosa dei pomelli e delle labbra. Distese, le braccia della donna sono coperte dalle lunghe maniche abbottonate al polso. Le mani grandi. L’una aderente al corpo, quasi a difesa, e l’altra, il palmo aperto. Una gestualità duplice: un segno di riserbo e un cenno gioviale.

Sto descrivendo l’Autoritratto in bianco di Nella Marchesini. È datato 1928. Nella dal 1920, diciannovenne, a Torino, sollecitata dall’amico e coetaneo Piero Gobetti, frequenta la scuola di pittura di Felice Casorati, che assai apprezza il suo talento e ne guida la formazione. Sono gli anni nei quali si crea, intorno a Gobetti ed alle sue riviste, un sodalizio destinato a durare anche dopo la morte di Piero, nel 1926, a venticinque anni, vittima d’una aggressione fascista.

Tra gli amici di Nella e delle sue due sorelle, Maria e Ada, ci sono Carlo Levi e Mario Soldati, Natalino Sapegno, Lalla Romano e Ada Prospero.

Risalente a quegli anni, osservo ora una fotografia di Nella. È seduta in un prato, avvolta in un pesante pastrano e in un ampio scialle. Sull’erba rada, le tracce di una recente nevicata disegnano qua e là bianche e irregolari losanghe. Oltre una breve abetaia, sullo sfondo, sotto un cielo terso e senza nubi, le montagne della Valchiusella innevate coronano l’immagine invernale. Nella si volge e sorride al fotografo. Ha tra le mani un mazzo di pennelli e regge aperta la cassetta dei colori con su poggiata la tavoletta di piccolo formato che ha appena dipinto. Intravedi un paesaggio, ne scorgi le zone più scure e la vibrazione d’una biacca luminosa. Due immagini, l’Autoritratto in bianco in un interno e il ritratto fotografico, scattato mentre dipinge en plein air in un rigida giornata di novant’anni fa, ci mettono in contatto con Nella, con un tempo per noi lontano, con un passato che fu il suo presente.

Nella era nata a Marina di Massa in una villetta sul mare: «in questa casa sono nata io, ha scritto, e prima di me le mie sorelle e il mio fratello. Appena fuori del cancello, attraversata la strada, c’era la rena con i ciuffi di canne con le spazzole in cima come gran pennacchi: già lenti e soffici alcuni, lucidi e setosi altri, e i pruni selvatici dalle foglie appena venate di rosso-vino». Si trasferì a Torino nel 1916 Nella, quando il padre Alessandro, dal Liceo Pellegrino Rossi di Massa, passò ad insegnare matematica e fisica al Liceo Alfieri di quella città.

E, nel corso degli anni Venti, molte estati Nella passerà a Marina di Massa: «sono al sole. I miei bracci bruciano – io non penso a nulla – io sono come la rena che si scalda sotto il sole – non c’è un’idea nella mia testa. Tengo gli occhi socchiusi perché la luce abbaglia. Ma sento». In una edizione di cinquanta esemplari (In Massa MMXVIII, Pei torchi Franco Frediani Stampator Ducale), si pubblica, con uno scritto dell’editore, un album ove sono raccolte alcune fotografie di Nella, di Maria e di Ada sulla spiaggia e si riproducono numerosi dipinti realizzati da Nella là dove, come scriveva nell’agosto del 1930, «le Alpi Apuane di un azzurro arioso si levano contro il cielo e il mare si apre ampio fin contro il cielo». I dipinti sono di piccolo formato.

Olii realizzati da Nella osservando la spiaggia, la sabbia, i pattìni in secco, le cabine, le figure distese al sole. E, dalla spiaggia, il rezzo della pineta o la cintura aerea delle montagne. In due fotografie, scattate in successione, sulla battigia le tre sorelle si tengono ora abbracciate, fazzoletti in testa ed ampie camicione scure, i piedi in acqua. Ora sono invece sedute sulla rena, tra altri villeggianti con parasole e ampi cappelli di paglia. Un bambino passeggia cauto nella debole risacca.