Sulla nave-lazzaretto destinata agli anziani positivi al covid delle case di riposo triestine, il Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Fedriga si dichiara irresponsabile: «Non abbiamo detto di prendere la nave e non diciamo ora di non prenderla. La politica non si permette di decidere i percorsi covid perché deve essere la scienza a farlo, altrimenti sarebbe un’ingerenza illegittima e inaccettabile».

La nave, che dal 18 aprile veniva presentata come l’unica soluzione percorribile, è affondata ufficialmente: «i tecnici» non ne hanno sottoscritto la difesa a oltranza e si sono interrotte le interlocuzioni sia con la Protezione Civile che con la Capitaneria di Porto che reclamavano ulteriori elementi di dettaglio. Perché questo poco repentino cambio di rotta? Fedriga e l’assessore Riccardi dicono che i positivi al covid nelle case di riposo di Trieste non sarebbero più i 300 preventivati ma 166 e, quindi, una nave sarebbe oggi uno spreco: il contagio sta diminuendo, la situazione non è più emergenziale.

Ieri mattina si è riunita la Commissione Salute del Consiglio regionale con l’audizione di vertici e dirigenti dell’Azienda sanitaria. Cantato il de profundis per la nave-covid, non appare però ancora definito un piano B: i positivi saranno trasferiti in un paio di rsa e in nuovi spazi di un ospedale triestino?

Forse. L’unica certezza, ne consegue, è che i tempi non sono ancora prevedibili. Capire cosa intanto succede dentro le case di riposo non è facile: dal 4 marzo sono chiusi tutti gli accessi «esterni» e anche i parenti si devono fidare di notizie frammentarie. Qualche esempio risulta però emblematico: il Comune di Trieste gestisce in proprio diverse case di riposo, fiore all’occhiello della città per molti decenni, poi investite anch’esse dal taglio drastico dei finanziamenti con la conseguente esternalizzazione di tutti i servizi.

Tra l’una e l’altra vengono fatti ruotare giovanissimi infermieri e operatori, perlopiù meridionali o dell’Est Europa, ma il problema non è il personale, che fa quel che deve e generalmente al meglio, anche se le presenze a marzo erano crollate verticalmente. Si è cercato in qualche modo di sanificare gli ambienti e di garantire ospiti e operatori anche se i dispositivi di protezione individuale sono stati drammaticamente scarsi almeno per tutto marzo.

Bene ma non benissimo perché tutti gli anziani, causa pandemia, sono stati chiusi nelle loro stanze e, soprattutto, perché questa situazione dura da più di due mesi. Forse così si è limitato il contagio ma il prezzo che stanno pagando gli anziani è altissimo: sono chiusi nelle loro stanze, un letto un armadio un tavolino lo spazio risicato per la sedia a rotelle, da più di due mesi.

Off limits tutti gli spazi comuni, nessuna occasione per muovere le gambe (chi può) né per vedere qualcosa di diverso dalle pareti bianche della propria prigione. Non stupisce se qualcuno non vuole più alzarsi dal letto, non vuole mangiare, fissa la finestra con le lacrime agli occhi o fa esplodere la rabbia.

Perché tempi così lunghi? Perché ancora non si ha certezza di quanti siano eventualmente positivi. Nonostante il Comune avesse fatto sapere ai parenti, da subito, che «si stavano facendo i tamponi» (e il Piccolo riportava la notizia, il 9 marzo, che i tamponi erano stati fatti a tappeto a tutti, operatori e ospiti) adesso sembra assodato che i primi tamponi sono stati fatti in tempi molto più distanziati, magari solo a chi presentava sintomi particolari, a molti solo dopo il 24 aprile e che tutti aspettano, comunque, il secondo giro perché, come si sa, un solo tampone non basta e, quindi, l’isolamento personale resta obbligato.

Non c’è motivo per pensare che nelle case di riposo private la situazione sia molto diversa: la stessa Azienda sanitaria ha dichiarato ieri in Commissione che 500 anziani non sono ancora stati sottoposti nemmeno al primo tampone.

Dimenticando la nave e accettando l’ipotesi che debbano essere trasferiti 166 anziani e non più 300, resta un bel po’ di amaro: i tempi e i modi ancora imprevedibili per una soluzione decente quando già tanto, troppo tempo è passato. Il rischio è che, se non si muore di covid, si muoia di malinconia. Il piano B dovrà dare risposte anche a questo. In fretta, magari.