Siamo alla vigilia della conferenza di Roma di domenica 13 dicembre sulla Libia. Se il premier Matteo Renzi sta puntando tutto su questo incontro per giustificare il suo inattivismo in Medio oriente, poche sono le speranze che i due parlamenti di Tripoli e Tobruk arrivino ad un’intesa per la formazione di un governo di unità nazionale. E se sulla Siria il lavoro di Staffan De Mistura, come inviato Onu, sta assumendo sempre di più un ruolo chiave per i complicati equilibri interni, in Libia si fatica a trovare anche soltanto un interlocutore valido che gestisca questa fase caotica che spacca il paese in tre macro-regioni: Tripolitania, Cirenaica e Fezzan.

Renzi ha auspicato che si apra a Roma un tavolo simile a quello che vede sedere i principali attori regionali a Vienna per discutere della crisi siriana. Eppure queste parole sembrano davvero prive di logica. Il governo italiano ha fin qui sbagliato la sua strategia nel conflitto libico. Continua a riconoscere un ruolo al debolissimo parlamentino di Tobruk che nel paese conta niente. Ha sostenuto la finta mediazione dell’inviato Onu, Bernardino León, che poi si è dimostrato il primo amico dei sauditi accettando 50 mila euro mensili dagli Emirati arabi uniti, che appoggiano Tobruk e l’operazione Dignità dell’ex generale, Khalifa Haftar.

Infine, Renzi continua a sostenere il modello del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi che fa il bello e cattivo tempo in Libia. Non deve stupire nessuno rilevare che la nomina del Cairo a guida della Commissione per l’anti-terrorismo Onu è arrivata all’indomani di un colloquio tra il premier italiano e il presidente egiziano su un rafforzamento delle manovre di Intelligence contro il terrorismo estremista dello Stato islamico. Ma Renzi finge di dimenticare che Haftar e Sisi sono i primi a manipolare l’arma del terrorismo per giustificare colpi di stato, repressione interna e questo fin qui non ha fatto altro che produrre più terrorismo.

A rincorrere le vacue speranze di Renzi sulla mediazione italiana in Libia ci ha pensato ieri il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha definito «opportuna» la conferenza di Roma sulla Libia. «Sappiamo che la soluzione è nelle mani dei libici. Una volta che si sia formato un governo libico di unità nazionale, la comunità internazionale avrà il dovere di aiutarlo e l’Italia sarà la prima ad essere disponibile», ha assicurato. Su questo punto Mattarella sembra echeggiare le parole del Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, che nei giorni scorsi si era detto pronto ad «aiutare la Libia». Peccato che la Nato e l’assenza dell’Italia siano i primi responsabili della distruzione del paese in seguito agli attacchi del marzo 2011 che hanno azzerato le fragili istituzionali statali. Addirittura la Nato si era proposta come improbabile garante di un accordo-bis tra le fazioni libiche che superasse lo stallo che negli ultimi mesi si è registrato sulla bozza finale, annunciata da León, ma mai approvata in via ufficiale dai due parlamenti.

Sul governo di unità nazionale in Libia, ha puntato anche il Segretario generale della Lega Araba, Nabil al-Arabi, che ha fatto leva sulla necessità di «un processo di riconciliazione nazionale».

E secondo al-Arabi, bisogna fare in fretta perché lo Stato islamico (Is) si è avvicinato alle città libiche. Il riferimento è al rafforzamento dei jihadisti nelle città di Sirte, Derna e Ajdabia delle ultime settimane. Secondo alcune fonti, i raid russi su Raqqa avrebbero spinto miliziani jihadisti di stanza in Siria verso la Libia. Questo ha aperto un secondo fronte con raid francesi e statunitensi che hanno colpito le città libiche negli ultimi giorni. Addirittura, alcuni media libici hanno sparso la voce, in seguito smentita, che il sedicente leader del Califfato, Abu Bakr al-Baghdadi, si sia rifugiato nelle ultime ore a Sirte. Secondo questi media, Baghdadi si troverebbe in un enorme bunker sotterraneo che era stato fatto costruire nella sua città natale dal colonnello Muammar Gheddafi.

È chiaro che lo scontro si fa ormai a colpi di propaganda. Il ministro dell’Informazione di Tobruk, Omar al-Gwairi, è stato duramente attaccato per le sue critiche alla società civile libica tanto da innescare le immediate scuse del parlamento di Tobruk. I politici della Cirenaica, da una parte, vogliono essere rappresentati, come gli eredi della mai avviata transizione democratica nel paese, dall’altra, come i restauratori del vecchio regime di Gheddafi. Invece Tripoli, per legittimarsi agli occhi della comunità internazionale, ha puntato tutto sul contenimento dei flussi migratori.

Fin qui questo ha solo spinto i migranti verso l’Egitto. Le forze di sicurezza egiziane hanno arrestato 94 egiziani e tre sudanesi che cercavano di entrare illegalmente in Libia mentre hanno arrestato oltre 600 migranti nel Sinai.